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Uomini e No; rinasce il PSI
25 Aprile 07

n.zoller@trentinoweb.it
INFO SOCIALISTA 25 aprile 2007
a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l'azione nazionale dei
socialisti e del centro sinistra
tel. 338-2422592 - fax 0461-944880
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno 4°
________________________________________
SOMMARIO:

o UN LIBRO, per cominciare: Elio Vittorini, UOMINI E NO – per il 25 Aprile
o PRIMO MAGGIO A ROVERETO
o UN RITORNO AL FUTURO PER I SOCIALISTI E LA DEMOCRAZIA ITALIANA


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UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Elio Vittorini
o Titolo: UOMINI E NO
o in edicola col TRENTINO e ALTO ADIGE per la Festa della Liberazione


UOMINI E NO: Romanzo

Fu composto fra il 1944 e i primi mesi del 1945, quando Vittorini, fuggito dal carcere, era latitante e, impegnato nella Resistenza, organizzava la stampa clandestina comunista. Dalla prima edizione (preceduta da alcune copie slegate; furono poi espunte trenta pagine e una «Nota» dell'autore, ripristinata nelle ristampe successive.

Al centro del romanzo (articolato in centotrentasei brevi paragrafi) ci sono le vicende politiche e sentimentali del partigiano Enne 2, capitano dei GAP».
Egli è innamorato da molto tempo di Berta, una donna sposata, che rivede ogni tanto a Milano, la città da cui lei è sfollata. Il conflitto tra i due è insanabile: Berta, infatti, non sa decidersi a lasciare il marito: «Tacquero, ma Berta già da un pezzo non piangeva, aveva parlato e quando Enne 2 la baciò di nuovo, gli circondò con le braccia il collo e tenne chiusi gli occhi. Egli le tolse il cappello. "Non temere per Selva" le disse. "Non tornerà fino a domani sera". Berta riaprì gli occhi. "Perché?" "Come!" egli esclamò "Ti è passata?" Berta scosse il capo "Non posso stare con te e poi essere anche di quell'uomo" "Mezz'ora fa volevi che ti prendessi" "Anche ora lo voglio. L'ho sempre voluto" "E allora, Berta?" "Non voglio soltanto che tu mi prenda. Voglio di più" "Tutti e due vogliamo di più" "Ma non capisci? Ora non potremmo averlo" "Non potremmo ancora averlo?" "Ora dovrei essere anche di quell'uomo" "Già," disse. Lentamente si oscurava nel volto; né guardava più lei, guardava davanti a sé».

Le riflessioni sulla loro dolorosa storia - come la rievocazione dell'infanzia fino al colloquio intimo dell'autore stesso con il protagonista del suo romanzo - sono affidate ad alcuni paragrafi in corsivo (sei in tutto), che intervengono a frammentare la narrazione e a trasferirla contemporaneamente su un piano psicologico e simbolico.
Alla complessa situazione amorosa si intrecciano gli avvenimenti legati all'impegno politico di Enne 2: egli organizza, infatti, insieme a tre compagni, un attentato contro quattro militari tedeschi e il capo del Tribunale: tutti restano uccisi. Viene immediatamente nominato un nuovo presidente, e il Tribunale si riunisce la notte successiva all'attentato. Il gruppo di Enne 2 decide di organizzare un agguato durante la seduta che, da una lista di trecento carcerati, dovrebbe sceglierne quaranta destinati alla fucilazione per rappresaglia. L'irruzione dei partigiani provoca una strage.
La mattina successiva Berta e Enne 2 si incontrano in Largo Augusto, dove entrambi sono costretti ad assistere a un mostruoso spettacolo: «Avrebbe voluto saperlo da qualcuno della folla, non vederlo da sé, e invece vide da sé, e vide che erano morti, cinque uomini allineati morti sul marciapiede, uno vestito anche con cravatta al collo come se lo avessero ucciso mentre camminava per la strada, ma tutti gli altri in disordine». Tra quei civili, uccisi per rappresaglia dai tedeschi, ci sono anche una bambina, due ragazzi di quindici anni e un vecchio: «questo era il modo migliore di colpire l'uomo. Colpirlo dove l'uomo era più debole dove aveva l'infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la costola staccata e il cuore scoperto. Dov'era più uomo».
Tra la folla Berta riesce a distinguere Enne 2: ritrovarsi in una situazione così disperata sembra un segno, e i due cercano nel loro amore una nuova forza, quella di «non perdersi»; ma quando sono nel rifugio di Enne 2 e arrivano sul punto di amarsi fino in fondo, Berta si tira nuovamente indietro.

Intanto la repressione continua: Giulaj, un venditore ambulante responsabile dell'uccisione, per sola autodifesa, della cagna Greta del generale tedesco Clemm - viene fatto sbranare da due cani; vengono poi fucilate cento persone - metà operai e metà politici - in rappresaglia dei nove tedeschi uccisi.

I partigiani decidono allora un altro attentato contro il capo fascista Cane Nero, ma questa volta l'operazione fallisce ed Enne 2 viene identificato: sul giornale del giorno dopo è offerta una grossa taglia a chi fornisce informazioni per la sua cattura. I compagni gli suggeriscono di allontanarsi dal suo rifugio, ma Enne 2 rifiuta: «Si perdeva, ma combatteva insieme. Non combatteva insieme? Mica c'era solo combattere e sopravvivere. C'era anche combattere e perdersi. E lui faceva questo con tanti altri che l'avevano fatto». Il tabaccaio all'angolo della strada lo riconosce e lo denuncia, ma un operaio corre ad avvertirlo; tuttavia egli rifiuta di salvarsi e si abbandona al proprio destino, dopo aver consegnato una pistola al soccorritore, affinché uccida Cane Nero, esortandolo poi a unirsi ai compagni superstiti.

Gli ultimi capitoli del romanzo sono dedicati a questo operaio che, convinto dal sacrificio di Enne 2 a partecipare attivamente alla Resistenza, si addestra a sparare sui motociclisti tedeschi. Egli, però, non ha il coraggio di uccidere il soldato tedesco che si trova di fronte, perché «era troppo triste». In quest'ultimo atto è adombrato il senso di inadeguatezza dell'autore, che nella «Nota» alla prima edizione affermava: «La mia appartenenza al Partito comunista indica dunque quello che io voglio essere, mentre il mio libro può indicare soltanto quello che in effetti io sono».

Dal romanzo è stato tratto, nel 1980, l'omonimo film di Valentino Orsini; interpreti principali Flavio Bucci (Enne 2), Monica Guerritore (Berta), Ivana Monti, Massimo Foschi.

Primo tra i libri-documento sulla Resistenza, il romanzo ebbe un enorme successo di critica e di pubblico. Se in un primo momento gli si riconobbero tutte le caratteristiche della narrativa neorealista, in un secondo tempo, quando se ne sono analizzate con maggior distacco le qualità letterarie, si è potuto notare che Uomini e no si allontana da questo filone: «Il vero realismo diventa così esplorazione di un sangue segreto, di una libertà vitale nascosta dietro "i fatti", l'evocazione di un archetipo risolutore. Il di più che egli cerca nelle cose (ricordo, futuro, eternità) per arrivare al punto in cui la parola tocca l'esistenza, è un'altra dimensione della solitudine» (Geno Pampaloni).

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ROVERETO
I MAGGIO 2007
FESTA DEL LAVORO

I SOCIALISTI DEMOCRATICI ITALIANI INVITANO TUTTI GLI AMICI E I COMPAGNI AL TRADIZIONALE MOMENTO D’INCONTRO.

PIAZZA DELLE ERBE
BAR STELLA D’ITALIA

ORE 11.00

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UN RITORNO AL FUTURO: LA RICOSTRUZIONE DEL PSI
CONTRO LE RESISTENZE ALL’INNOVAZIONE, UNA PROSPETTIVA ALL’AVANGUARDIA CON LA SOCIALDEMOCRAZIA ALL’EUROPEA

Aprendo una cruciale stagione dei congressi, il congresso nazionale dei socialisti SDI - svoltosi dal 13 al 15 aprile con la veste di un congresso straordinario - si è posto l’obiettivo di riformare anche in Italia una più ampia area politica che ricostruendo il PSI abbia nel nome e nei fatti un diretto riferimento al Partito socialista europeo e alle prospettive d’avanguardia che da sempre si pone la socialdemocrazia del nostro continente.
Come richiamano le nostre tesi congressuali, da decenni la socialdemocrazia europea non è più legata a una scelta di classe, ha da tempo accettato l’economia di mercato e i principi della democrazia liberale. Conferma i principi di giustizia sociale e di solidarietà, ma nello stesso tempo vuole valorizzare la responsabilità individuale. Non pensa più a costruire un grande Stato che regoli l’economia e la finanza secondo un disegno politico calato dall’alto. Questo approccio della socialdemocrazia europea, che è maturato già alla fine dello scorso secolo, pone al centro della sua impostazione:
1. la necessità di contrastare nuove forme di esclusione dal lavoro, e di assicurare pari opportunità per tutti, come recita lo slogan europeo per il 2007;
2. considera fondamentale il ruolo delle donne, l’educazione dei bambini, l’integrazione dei disabili, l’uguale dignità tra coloro che hanno identità di genere o orientamenti sessuali diversi, il rispetto dei diritti fondamentali per tutti.
3. la socialdemocrazia è a favore della competizione tra le imprese e contro la formazione di monopoli e di oligopoli, per la cooperazione tra gli Stati e la solidarietà tra i cittadini;
4. la tutela dell’ambiente è stata sempre un cardine dell’azione dei partiti socialdemocratici, fin da quando l’ex premier norvegese Brundtland promosse la conferenza mondiale di Rio e sostenne la necessità di uno sviluppo sostenibile;
5. la socialdemocrazia considera un dovere dello Stato assicurare un sistema di istruzione che sia inclusivo ed eccellente.
La socialdemocrazia europea non è quindi una vecchia forza appesa al passato, ma uno dei principali protagonisti dell’innovazione politica in Europa, aperta all’apporto dei riformatori liberali e dei riformisti ambientalisti.

Riscoprire la questione socialista nel nostro paese - con questi riferimenti valoriali della socialdemocrazia - significa dunque contrastare da posizioni innovatrici tutti i conservatorismi. Compreso il conservatorismo che ancora è forte anche in settori del centro-sinistra e dell’estrema sinistra, con il quale dovremo fare i conti anche nel nostro processo della “Costituente socialista”, che restando naturalmente aperta ai militanti Ds non aderenti al partito democratico, dovrà costantemente segnalare che i metodi e i mezzi utili - come sopra indicati in sommario - sono quelli innovativi del socialismo riformista e liberale europeo.

Segnalo un esempio notevole e preoccupante di resistenza all’innovazione: Pietro Ichino, il professore giuslavorista già dirigente della Cgil e deputato del PCI , impegnato nell’ultimo decennio su posizioni riformiste in tema di mercato del lavoro, trova poche solidarietà di fronte addirittura a minacce di morte da parte dei neo-brigatisti rossi. Qual’ è la sua colpa? Pensare ad un sindacato sul modello socialdemocratico europeo con capacità cooperativa piuttosto che conflittuale. E’ dall’area politica socialista che gli è venuto un sostegno solidale chiaro. Al proposito – dal mio piccolo ambito - ho l’onore di poter segnalare che la rivista socialista “Mondoperaio” (una fucina di idee fondata da Pietro Nenni) ospita proprio sul recente numero di gennaio-febbraio 2007, una mia recensione all’importante libro del professor Ichino "A che cosa serve il sindacato? Le follie di un sistema bloccato e la scommessa contro il declino", che tanto dibattito ha suscitato nel corso del 2006, con aperte contestazioni provenienti dai settori più conservatori del sindacato. In realtà Ichino propone di riformare il diritto del lavoro nell'interesse della parte più debole dei lavoratori e sostiene che il sindacato confederale debba avere un ruolo importante nel governo del mercato del lavoro; per far questo ci sarebbe bisogno di un sindacato in grado di assumere una maggiore capacità cooperativa piuttosto che un ruolo conflittuale, quella stessa capacità cooperativa e addirittura partecipativa propria del modello socialdemocratico europeo (come avviene nella cogestione tedesca); mentre merita una seria riflessione l'abuso del diritto di sciopero specialmente nei servizi pubblici anche rammentando la posizione responsabile di sindacalisti “costituenti” come Vittorio Foa e Giuseppe Di Vittorio.
Certo, se il sindacato non avverte queste necessità da "risorsa" purtroppo diventerà "zavorra", come titola il citato articolo di “Mondoperaio”. Qui si capisce perché le posizioni apertamente riformiste di Ichino creino tanto dibattito. Molti di noi le sostengono convintamene. Purtroppo nell'area oltranzista finiscono per dare spazio addirittura a propositi di ritorsione violenta contro il coraggioso professore giuslavorista.


Nicola Zoller – segretario regionale Sdi



BOSELLI: SUBITO L'UNITÀ SOCIALISTA, RIFAREMO IL PSI

• da Corriere della Sera del 16 aprile 2007, pag. 11
di Lorenzo Fuccaro

In autunno rinasce il Psi, parola di Enrico Boselli. «Non trovo di meglio che
chiamare il nuovo partito, come si è sempre chiamato, al­meno dal 1893 con il
congresso di Reggio Emilia, a un anno dalla sua fondazione: Partito socialista
italiano». In mezzo al tripudio del congresso, Boselli annuncia l'evento atteso da
una platea che di lì a poco lo rielegge segretario con una votazione che soltanto
Bettino Craxi prima di lui era riuscito a ottenere (un solo contrario e tre
astenuti), segno che l'unità socialista non è più una chimera ma è vissuta come una
prospettiva concreta. «Uniti — scandisce — i socialisti riusciranno a essere un
punto di riferimento per unire tutti i riformisti, uniti i socialisti conteranno di
più sul piano delle idee e della capacità di incidere nella politica italiana».
Bisogna fare presto, «abbiamo di fronte a noi una consultazione elettorale di
grande rilevanza, dobbiamo rafforzare le liste dello Sdi che sono
aperte al contributo degli esponenti della diaspora e ai radicali che con noi hanno
dato vita alla Rosa nel pugno». Troppe volte, nota, «abbiamo avuto l'impressione di
arrivare a un passo dall'unità, poi tutto è svanito, ma ora dico: uniamoci subito».
Lo Sdi, quindi, resta fuori del Partito democratico. «Caro Romano non mi hai, anzi,
non ci hai convinto», dice Boselli in uno dei tanti passaggi — diciassette —
sottolineati da scroscianti battimani, di un discorso il cui filo condut­tore è stato
l'orgoglio. L'orgoglio di avere fatto la scelta giusta, l'orgoglio di essere a un
passo dal porre «fine alla dia­spora», e di avere ritrovato in questo cammino vecchi
sodali d'un tempo, come Rino Formica, Gianni De Michelis, Bobo Craxi, ma anche
nuovi amici «riformisti doc come Emanuele Macaluso, Lanfranco Turci, Giuseppe
Caldarola che stanno dando un grande contributo a questa prospettiva».
L'obiettivo a partire da Fiuggi, incalza Boselli, è «lavorare per unire i socialisti
e al­largare il campo dei nostri interlocutori, aprire un cantiere di tutti i
riformisti che non condividono la scelta di aderi­re al Partito democratico».
Per Boselli il Partito democratico non è affatto nuovo. Anzi. Nasce già vecchio. Il
leader dello Sdi si dilunga in polemica diretta sia con Massimo D'Alema che li ha
accusati di non saper cogliere la «novità». E critica la Margherita — tra le sue fila
annovera «un integralista di conio come Francesco Rutelli» — che in fatto di
«modernità è stata superata dal capo della destra francese Sarkozy difensore dei
pacs».
Rivolto al ministro degli Esteri Boselli si domanda: «Come si fa a definire moderno
e avanzato un partito democratico dove ci saranno esponenti dell'Opus Dei, alcuni
dei quali indossano felicemente il cilicio? Vedeva lungo Massimo D'Alema quando si
recò alla celebrazione del fondatore dell'Opus Dei comprendendo che con parte di
quella gente avrebbe fatto un partito assieme». Non solo.
«Se è questa la modernità che concepisce D'Alema, allora noi restiamo ancorati ai
princìpi di laicità che animarono il Risorgimento italiano. Del resto, andando
indietro nei secoli appare molto più moderno Giordano Bruno di quanto lo sia oggi
papa Ratzinger».
Tutto ciò non pregiudica il «sostegno pieno» al governo Prodi. Tuttavia Boselli sente
l'esigenza di lanciare un avvertimento agli alleati. «Vediamo — osserva — aggirarsi
tanti alchimisti che esercitano la propria fantasia nell'individuare soluzioni di
riserva nel caso il governo dovesse essere scon­fitto al Senato». Si tratta,
precisa, «di disegni poco chiari»: riuscire «a imporre una legge elettorale che
liberi il nascente Partito democratico dal fastidio dato dalla concorrenza di altre
formazioni politiche». Boselli riscontra queste «tentazioni nei Ds, nella
Margherita e anche in Rifondazione comunista. Spero che il presidente Bertinotti
contrasti chi ci vorrebbe spazzare via attraverso qualche congegno elettorale».

BOSELLI CI PROVA: RIFAREMO IL PSI

• da La Stampa del 16 aprile 2007, pag. 6
di Fabio Martini

Quando inizia a parlare dal podietto in plexiglas sembra essere tornato il solito,
garbato Boselli di sempre. Sembra, perché il leader dello Sdi conferma l’approccio
«cattivo» di questo congresso e cala il primo asso emotivo della replica finale:
«Molti compagni mi hanno chiesto come potrebbe chiamarsi il partito della
riunificazione socialista che nascerà in autunno. Io non trovo di meglio che chiamare
il nuovo partito come si è sempre chiamato, almeno dal 1893: Partito socialista
italiano, Psi!». Dagli ottocento della platea, assiepati sotto la tenda bianca del
Palaterme, si alza un battimani assordante, molti compagni attempati hanno gli occhi
lucidi, l’applauso non finisce più ed Enrico Boselli sussurra al microfono: «Stavolta
non vi fermo...», come aveva fatto due giorni prima.
E dunque il congresso straordinario dello Sdi è riuscito in un piccolo miracolo:
rimettere assieme i litigiosissimi protagonisti della diaspora socialista e
riaccostarli dietro una bandiera e un nome che sembravano appartenere alla storia. Il
nome Psi, diventato «impresentabile» dopo Tangentopoli, era stato accontonato nel
novembre del 1994, tre anni dopo quello del Pci, undici mesi dopo quello della Dc, un
mese prima dell’Msi. La piccola impresa compiuta dallo Sdi di Boselli sta proprio nel
confronto con gli altri grandi partiti della Prima Repubblica: il Psi è l’unico che
si prepara a rinascere, a differenza del Pci, dell’Msi e della Dc, che «rivive» solo
nella versione bonsai e senza scudocrociato di Gianfranco Rotondi.
In autunno gli spezzoni socialisti - lo Sdi di Enrico Boselli, Roberto Villetti e Ugo
Intini; i Socialisti di Bobo Craxi; Gianni De Michelis (ma non si sa se con tutto il
Nuovo Psi, a congresso a giugno); ex Ds come Lanfranco Turci e Peppino Caldarola -
daranno vita alla Costituente socialista e sarà più chiaro cosa vorranno fare gli
scissionisti della sinistra Ds guidati da Mussi. In vista della riunificazione
Boselli cerca di porre le fondamenta politiche dell’operazione. Che cerca di
conquistare un po’ dello spazio lasciato libero dalla nascita del Partito
democratico. Per questo Boselli ha chiuso il congresso, rivolgendosi a Prodi: «Caro
Romano non mi hai convinto», perché il nuovo partito nasce su una cultura
cattocomunista, su «quanto di più vecchio c’è nella società italiana».

E a Massimo D’Alema, che aveva criticato la scelta «da vecchia politica» dello Sdi,
Boselli ha replicato con un attacco personale che lascia intendere con quale grinta
il nuovo Psi proverà a farsi spazio: «Vedeva lungo qualche anno fa D’Alema quando si
recò alla celebrazione del fondatore dell’Opus Dei, comprendendo che con parte di
quella gente avrebbe fatto un partito assieme. Questa è la modernità che concepisce
D’Alema?». E sul movimento più tradizionalista della Chiesa, Boselli insiste: «Nel
Partito democratico avrà un ruolo decisivo «l’integralista di nuovo conio Francesco
Rutelli» e «ci saranno esponenti dell’Opus Dei, alcuni dei quali indossano
felicemente il cilicio», con allusione alla senatrice Paola Binetti. Dunque il Psi
rinasce laico come quello di Pietro Nenni e Boselli arriva a dire che «Giordano
Bruno, di cui tutti noi conosciamo la sorte, è più moderno di Papa Ratzinger». Alla
fine per il segretario una rielezione bulgara, seppur «sporcata» dalla votazione
palese: un contrario e tre astenuti. A sorpresa arrivano anche i complimenti di Marco
Pannella, sempre spiazzante: «Il congresso è stato un grande evento e per noi
radicali la laicità resta la bussola e la direzione di marcia».


PARTITO DEMOCRATICO E QUESTIONE SOCIALISTA

• da Il Riformista del 16 aprile 2007, pag. 1
di Paolo Franchi

Chissà se è il caso di dire: finalmente. Ma in ogni caso ci siamo. Questo fine
settimana Quercia e Margherita celebreranno i loro ultimi congressi, e poi prenderà
il via la fase costituente del Partito democratico. Un solo augurio - sincero,
sincerissimo - ci sentiamo di esprimere non solo ai diretti interessati ma a tutto il
centrosinistra e in primo luogo a tutti i riformisti: l'augurio che, archiviati i
congressi, si archivi pure lo scemenzaio di queste settimane e di questi giorni, e si
cominci, sempre che non sia ormai troppo tardi, a fare sul serio. Onestamente non
sapremmo dire se il nuovo partito troverà la risposta giusta da dare al ragazzo
(leggiamo su Repubblica) che a Piero Fassino ha chiesto come si regoleranno i
democrats di fronte al fatto che da qualche anno d'inverno non c'è più il freddo di
una volta: a pensarci bene, ci verrebbe da dire di no. Sarebbe già qualcosa,
comunque, se si smettesse di immettere ed espellere a giorni alterni nobili antenati,
che oltretutto sono impossibilitati a pronunciarsi in materia, dall'ipotetico
Pantheon del Pd, e di tirare il sasso e nascondere la mano sulle leadership passate,
presenti e future, per concentrarsi piuttosto su quello che un tempo veniva chiamato
il «che fare». Prendere atto che Ds e Margherita sono palesemente a fine corsa, e
sbrigarsi a mettere insieme le loro due debolezze nella speranza che, sommandole,
venga fuori qualcosa di non troppo dissimile da una forza, non basta a dar vita a un
nuovo partito (anzi, a un partito nuovo) a vocazione maggioritaria. Che però non
nasce neppure facendo affidamento sulle virtù salvifiche del popolo delle primarie,
attualmente in sonno ma sempre pronte a manifestarsi di nuovo purché qualcuno (chi?)
riesca a spezzare, o almeno ad allentare, la cappa delle oligarchie partitocratiche.
Vedremo. Vedremo con spirito critico, non aprioristicamente ostile, intendiamo dire.
Con rispetto. E con disincanto. Lo stesso spirito, lo stesso rispetto, e pure, perché
no, lo stesso disincanto con cui guardiamo ai processi nuovi che la stessa nascita
del Pd (o meglio il modo davvero non esaltante in cui il Pd sta cominciando a
prendere forma) ha messo in movimento a sinistra. A Fiuggi, per cominciare, è
successo qualcosa di importante, qualcosa di letteralmente impensabile appena fino a
pochi mesi fa, qualcosa di più significativo della ricomposizione di alcuni pezzi e
pezzetti della diaspora socialista. Anche qui si è inaugurata una stagione
costituente. Se dovessimo prendere alla lettera le parole di Enrico Boselli, e
pensare che in fondo al percorso ci sia la resurrezione di un partito denominato
Partito socialista italiano, sezione italiana (perdonate il linguaggio d'epoca) del
Partito del Socialismo europeo e dell'Internazionale, diremmo subito che nella
ridente cittadina termale si è dato (legittimo) sfogo all'orgoglio, ma si è fatta
pure della demagogia, e soprattutto si è perso del tempo. Ma a noi pare che dal
congresso dello Sdi sia uscita soprattutto l'indicazione, molto meno nostalgica, di
scommettere sull'esistenza e sul futuro di una sinistra “larga”, che nel Partito
democratico, o almeno in questo Partito democratico che sta per nascere, non si
riconosce. Offrendo almeno a una parte di questa sinistra l'ancoraggio al socialismo
democratico e liberale, in Italia e in Europa, come prospettiva e come collante,
senza perdere di vista, ma a distanza, quanto va capitando in Rifondazione e nella
sinistra radicale Che si tratti di un cammino difficile, e zeppo di incognite, è fuor
di dubbio. Ma la questione socialista, adesso, è sul tappeto. E non si può
liberarsene facendo spallucce.
Può darsi che la separazione sia definitiva e irreversibile, e può darsi pure (anche
se ci sembra difficile) di no. In tutti e due i casi, e non lo diciamo per un
buonismo che non ci appartiene, è importante che sia il più possibile consensuale.
Non ci sono traditori, non ci sono venduti, non ci sono scissionisti, non ci sono
secessionisti. C'è gente che ha molto in comune, e però avverte che è giunto il
momento di prendere strade diverse.

L’IDEA DI BOSELLI PER IL NOME DELLA COSA: PSI

• da Il Riformista del 16 aprile 2007, pag. 1
di Tommaso Labate

Se l’obiettivo delle assise fiuggine era trovare «la bussola» per dare l’avvio a una
nuova costituente socialista, Enrico Boselli può sentirsi pienamente soddisfatto. A
poche settimane dall’inizio del processo, in quel di Bertinoro, il rieletto
presidente dello Sdi si trova in cascina la riduzione al minimo del dissenso interno,
la ricomposizione di fatto di tutte le anime ufficiali della diaspora e la sponda con
le anime anti-democrat della Quercia che dopo Firenze abbandoneranno la real casa
diessina.
Forse per centrare meglio il target, forse per mettere definitivamente da parte le
etichette di «psiuppismo», qualche minuto prima delle 13, Boselli ha giocato una
carta non del tutto attesa: quella di evocare il ritorno del Psi. «Ci chiameremo come
sempre ci siamo chiamati a partire dal 1893: Partito socialista italiano», ha
scandito il leader dello Sdi, prima di lasciarsi travolgere dall’ovazione del
Palaterme.
Rispolverando il marchio finito in soffitta dopo la liquidazione di Craxi e del
craxismo, e soprattutto fissando il timing della costituente («Do a tutti noi un
appuntamento per l’autunno di quest’anno al fine di realizzare la fase conclusiva
della Costituente»), Boselli declina l’ancorché timido invito portato a Fiuggi dal
presidente del Consiglio. «Abbiamo ascoltato le parole di Prodi, che ha fatto un
discorso chiaro. Altrettanto chiara è la nostra risposta, che si deve fare tra amici:
caro Romano, non ci hai convinto».
Il cantiere della costituente è quindi ufficialmente aperto. «Vedo che Enrico ha
respinto l'ultimo assalto di Prodi», è il ragionamento compiaciuto di Gavino Angius,
secondo cui «l'avvio della costituente e la calorosa accoglienza che il congresso ha
tributato a me e Mussi è la testimonianza di un processo aperto a più soggetti». E
poi, aggiunge il "padre" della terza mozio­ne dei Ds, «se non ho capito
male, il richiamo al Psi si riferisce soltanto all'u­nificazione dei partiti
socialisti che par­teciperanno a questa costituente».
Grandi soddisfazioni e qualche pic­cola cautela affollano la mente di Lanfranco
Turci, che plaude all'impianto po­litico emerso a Fiuggi ma avverte: «II rischio che
la costituente approdi sempli­cemente a uno "Sdi allargato" c'è sem­pre.
Credo che Boselli saprà e vorrà scongiurarlo...... Il nome? «E l'ultima cosa, non la
prima», aggiunge l'ex ds, oggi deputato della Rosa nel pugno.
Più che sulle dinamiche del cortile italiano, è sul co­mune e convinto ancoraggio al
Pse che la macchina messa in moto a Bertinoro e avviata a Fiuggi si propone di
con­quistare lo spazio che si aprirà con la nascita del Par­tito democratico. «Credo
che in agenda non ci sia la ricom­posizione dei cocci socialisti in un nuovo partito
bonsai», sottolinea il ds Valdo Spini, che Boselli ha citato nelle sue repliche
insieme a pezzi di storia della sinistra (Emanuele Macaluso e Rino Formica) e ai
principali esponenti dei soggetti politi­ci che si richiamano al socialismo. Oltre
che sul patrimonio politico, le chiavi del Pse potrebbero presto servire a Boselli
per aprire le porte del partito europeo a chi si prepara a uscire dai Ds (leggasi
Mussi e Angius). «Una cosa è certa», ri­marca Peppino Caldarola, uno degli ospiti più
applauditi a Fiuggi. «Quella che soltanto pochi mesi fa nemmeno esi­steva, oggi è
diventata una prospettiva concreta. Il nome Psi? Se fossero tutti d'accordo sarei
d'accordo anch'io». Se­condo la chiave di lettura dell'ex diretto­re dell''Unità, «la
costituente socialista si avvantaggerà e non poco dell'aiuto del Pse. Non è un caso,
infatti, che alla prima occasione utile, Rasmussen abbia espres­so tutto il suo
malumore nei confronti del Pd. Il "messaggio", recapitato a Rutelli, è
stato però inviato a Fassino».
A guardare con particolare attenzione al grande risiko socialista, ci sono due
spettatori d'eccezione: Romano Prodi e Fausto Bertinotti. A sentire l'analisi di
Caldarola, «Prodi ha accuratamente evitato di bocciare la costituente socialista.
Anzi, ha fatto di più. L'ha incoraggiata perché evidentemente ha le stesse riserve
di Parisi sulla strada che ha preso il Pd e spera di dare appuntamento ai sociali­sti
in un secondo momento». E Bertinotti? «Nel caso in cui il Pd si lasciasse andare a
tentazioni egemoniche nel centrosinistra, Fausto diver­rebbe il prin­cipale
interlocutore del futu­ro soggetto socialista».
In un panorama in cui le sorti del governo sembrano intrecciarsi sempre più con la
riforma elettorale, Prodi potrà contare sulla fedeltà dello Sdi che Boselli ha
ribadito ieri. Non solo: chiudendo il congresso di Fiuggi, il rieletto presidente
del par­tito della Rosa ha puntato l'indice contro chi vorrebbe «imporre una nuova
legge elettorale che liberi il nascente Pd dal fastidio della concorrenza». A
sorpresa, sul banco degli imputati di Boselli, c'è finita anche Rifondazione. Un
segnale a Fausto o un attestato di fiducia per Prodi e Chiti? Chissà. Tra le tante
incognite dis­seminate lungo il percorso socialista, a fa­re chiarezza ci hanno
pensato i movi­menti giovanili. L'associazione per la Rosa nel Pugno, e i giovani di
Sdi, Craxi e Psdi hanno dato vita a una costituente degli juniores. La notizia? Della
partita saranno anche i giovani mussiani.

TENSIONI ESTERE E NUOVI PARTITI D'ALEMA MALE, BENE I DS E LO SDI

• da Repubblica.it del 23 aprile 2007
di Matteo Tonelli

Meno fiducia nel governo e più nei Ds, che a Firenze hanno dato l'addio alla Quercia puntando al Partito Democratico. Che, non ancora nato, raccoglie un indice di fiducia del 27%. Mentre Massimo D'Alema, pur restando il più gradito tra i ministri, fa segnare una decisa flessione. Sono questi i dati più interessanti del sondaggio condotto da Ipr Marketing per Repubblica.it. Una rilevazione che vede Romano Prodi ottenere lo stesso livello di fiducia di un mese fa (42%), ma che vede l'esecutivo guidato dal premier in calo del 4% (dal 46% al 42%).
La fiducia nel governo e in Prodi. Il calo c'è e si vede. Rispetto ad un mese fa il sondaggio attesta una flessione di 4 punti percentuali. Oggi la fiducia nell'esecutivo tocca quota 42%, nel luglio del 2006, ad inizio legislatura, era al 63%. In crescita sostenuta la percentuale di coloro che dico di avere poca o nessuna fiducia nell'esecutivo: dal 50% di un mese fa al 55% di oggi. Le cose vanno meglio per Romano Prodi. Il premier resta stazionario rispetto ad un mese fa (42%): la stessa percentuale del suo esecutivo. In leggere crescita coloro che dicono di avere poca o nessuna fiducia nel presidente del Consiglio: dal 54% di un mese fa al 55%.
D'Alema, meno sei. Il dato colpisce. Il titolare degli Esteri, pur restando il più gradito tra i ministri, vede scendere bruscamente le sue quotazioni. Una secca discesa dal 66% di un mese fa al 60% di oggi. Solo due punti percentuali in più di Giuliano Amato che mantiene il secondo posto (al 58%). E il collegamento tra le tensioni della politica estera e la discesa del quoziente di fiducia appare evidente. Crollo verticale anche per Rosy Bindi e Barbara Pollastrini. Le due ministre alle prese con la spinosa vicenda dei Dico pagano pegno perdendo ben 9 punti percentuali rispetto al sondaggio di marzo. Male anche Livia Turco (49%, -4%) e il ministro dello Sport Giovanna Melandri (55%, -5%). Quest'ultima sembra pagare l'intricata situazione del calcio italiano e la bocciatura dell'Italia per gli Europei del 2012. Male anche Antonio Di Pietro, ministro delle Infrastutture e leader dell'Italia dei Valori: meno 4% per lui, che scende dal 54% di un mese fa al 50 di oggi. Segno più per Emma Bonino che sale dal 52% al 56%. Mentre resta stabile al sesto posto il ministro del Lavoro Cesare Damiano.
Ds e Sdi in salita. Proprio mentre a Firenze si celebra il congresso che decide lo scioglimento della Quercia in vista della nascita del Partito Democratico (che il sondaggio di oggi fotografa al 27%), l'indice della fiducia nel partito di Piero Fassino si impenna. Cinque punti percentuali in più rispetto ad un mese fa. La Quercia passa dal 43% al 48%, confermandosi il partito che riscuote maggiore fiducia. Alle spalle della Quercia si piazza Forza Italia in leggero calo (dal 42% al 41%). Stabile la Margherita che conserva la quarta posizione con il 40%. Va registrata, invece, l'impennata dello Sdi (in procinto di diventare Psi). La formazione di Enrico Boselli, infatti, passa dall'8% al 22%. Una cavalcata trionfale di ben 14 punti percentuali. Nel gradimento non va altrettanto bene all'Italia dei Valori (27%, -3%), a Rifondazione (26%, -4%), ai Verdi (26%, -5%). E neanche all'Udc di Pier Ferdinando Casini che lascia sul terreno due punti: dal 28% al 26%.


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