<< indietro


UN FUTURO PER IL SOCIALISMO
31.7.07

n.zoller@trentinoweb.it
INFO SOCIALISTA 31 luglio 2007
a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l'azione nazionale dei
socialisti e del centro sinistra
tel. 338-2422592 - fax 0461-944880
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno 4°
________________________________________
SOMMARIO:

o UN LIBRO, per cominciare: UN FUTURO PER IL SOCIALISMO - Pensieri del Novecento, da rileggere e praticare nel Nuovo secolo – di N. Zoller

In quest’estate 2007 sta crescendo nel nostro Paese la concreta speranza di una rinascente forza socialista, legata ai valori della socialdemocrazia europea. La “Costituente socialista”, riunitasi a Roma il 14 luglio si è impegnata a tenere ad ottobre la conferenza programmatica e poi nel dicembre 2007 a costituire in Italia il Partito socialista affiliato formalmente al Partito socialista europeo (Pse). Riportiamo l’articolo scritto da Antonio Landolfi per la rivista Mondoperaio del Maggio-Giugno 2007 e la posizione del sen.Gavino Angius tratta da www.sdionline.it

o LA SCELTA DEI SOCIALISTI di Antonio Landolfi

o ANGIUS: MEGLIO LA 'COSA ROSA' CON LO SDI CHE UNA 'COSA ROSSA' CON IL PRC

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Titolo: UN FUTURO PER IL SOCIALISMO - "Pensieri del Novecento, da rileggere e praticare nel Nuovo secolo"
• tratto da: Nicola Zoller, "C'è un futuro per il socialismo", in MONDOPERAIO - rivista socialista fondata da Pietro Nenni - n. 2 marzo/aprile 2001, p. 128 s. – ora anche in www.socialistitrentini.it

La vittoria del riformismo.
Alla luce delle ricerche teoriche e della prassi politica, si può ben dire che le idee collegate al movimento socialista democratico hanno vinto il confronto nel "duello a sinistra" protrattosi per tutto il XX secolo. La profezia del leader del socialismo italiano, Filippo Turati, pronunciata al congresso di Livorno nel 1921 e rivolta alla fazione comunista, si è avverata in tutta Europa e la sinistra politica moderna degna di questo nome abbraccia le tesi gradualiste e riformiste, considerando illusoria, demagogica, pauperistica e sanguinaria la prassi del comunismo rivoluzionario. Proprio nel filone "anti - totalitario" di ogni biblioteca socialista non può che venire segnalata la lunga contesa del socialismo democratico europeo ed internazionale contro il "socialismo reale" di marca comunista - sovietica. Gli autori sono notevoli, dai nostri Merlino, Silone, Rizzi, Settembrini a Martov, Medvedev, Orwell, Koestler, Castoriadis, Goldstücker, Gilas, Camus, Kolakowski, Hannaendt, Popper, W. Reich, Ghosh. Queste testimonianze dovrebbero far arrossire coloro che hanno ancora la sfrontatezza di affermare che con la caduta del socialismo totalitario sovietico sarebbe caduto anche il socialismo democratico: la fine del comunismo è una vittoria ideale del socialismo europeo e di tutti quei leaders e pensatori che per settant'anni lo hanno contestato e combattuto ideologicamente. A suggellare questa conquista democratica, sovvengono le penetranti parole - anch'esse profetiche - di Simone Weil (1909~1943) che nel suo saggio "Pensieri sulla violenza" sostiene: "... l'illusione della Rivoluzione consiste nel credere che essendo le vittime della forza innocenti riguardo alle violenze che si verificano, se si mette la forza nelle loro mani, esse ne faranno un uso giusto". Non sempre la vittoria delle idee comporta una vittoria politica degli uomini e delle organizzazioni che per esse si impegnarono. Ma questo è un discorso che attiene alla tattica o alla contingenza politica, piuttosto che ad un discorso dì spessore teorico e di prospettiva ideale. Ebbene, se nel caso specifico italiano l'organizzazione socialista è stata vulnerata nel corso degli anni '90, la idee coltivate dal movimento socialista avranno ancora vita lunga e potranno essere ancora utili ai cittadini e alla società. Si tratta infatti di un complesso di idee prodotte - come ricorda Giorgio Spini - da "una galassia multicolore", accomunata da una fervente adesione ai valori democratici e libertari, che via via ha proposto, rielaborato, affinato, implementato progetti ideali rivolti in varie direzioni, come ha provato a dimostrare anche la mia ricerca "Letture di fine secolo" (Stampe della "Rosa Europea", Rovereto, 1997), la quale ha individuato diversi filoni del pensiero socialista, da quello "illuminista - risorgimentale" a quelli "riformista" e "liberal", dal filone "federalista" a quelli "anti-totalitario" ed "ecologico"... . Proprio lo spirito libero che soffia nelle opere degli intellettuali socialisti - lontani da rigidi schemi burocratici e dottrinari - ha salvato e salva per il futuro il complesso delle idee socialiste, le quali si sono segnalate nei vari filoni di cui si sono occupate per originalità o innovativi apporti. E se c'è o ci sarà una sfida politica, essa trova e troverà quasi sempre alimento teorico nelle elaborazioni del movimento socialista.
Il federalismo socialista.
Con riferimento a quanto appena menzionato cito un esempio eclatante. Pare che negli armi '90 si sia scoperto il tema federalista. E invece esiste una notevole opera socialista sull'argomento, che affonda le radici nelle proposte del francese Proudhon o nel programma federalista di Brünn della socialdemocrazia austriaca, per emergere poi con i nostri Carlo Rosselli, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni (mi permetto di segnalare una mia memoria su questo "federalista dimenticato" ospitata su "Questotrentino" del 13 gennaio 1995), Silvio Trentin, Piero Calamandrei, Ignazio Silone. Gli studi di Aldo Garosci e di Norberto Bobbio sono testimonianze della vitalità di questo filone del pensiero socialista mentre nell'opera di Corrado Malandrino, "Socialismo e libertà: autonomie, federalismo, Europa da Rosselli a Silone", viene efficacemente riassunto il valore del nesso socialismo -federalismo: "Quale socialismo? Quello che garantisce agli individui, ai gruppi e alle classi anche le condizioni di maggiore libertà nella società, nelle istituzioni statali e sovranazionali. Quale federalismo? Quello che assicura la pace tra le nazioni, la realizzazione degli obiettivi di unità politica del continente europeo non disgiunti dalla salvaguardia delle autonomie nazionali e locali, ma che è altresì un federalismo aperto alle esigenze di giustizia sociale. Questi temi sono ben presenti nella storia italiana di questo secolo, tra i socialisti e nell'intellettualità progressista con l'obiettivo di unire finalità socialiste e federaliste per costruire un sistema sociale e costituzionale di nuova democrazia, più libero e più giusto".
Eduard Bernstein.
Quanto appena descritto per il filone "federalista" vale quasi paradigmaticamente per gli altri filoni. E' però segnatamente il filone "liberal - socialista" a permeare di vitale prospettiva anche gli apporti teorici dei pensatori collocati dalle mie "Letture di fine secolo" in altri filoni ma inevitabilmente portatori di tematiche liberal socialiste. Vorrei qui aggiungere un richiamo particolare al saggio di U. Ranieri e U. Minopoli "Il movimento è tutto, rileggendo Eduard Bernstein" (Sugarco ed.) posto ad introdurre il filone "riformista", con il quale questi due dirigenti democratici di sinistra raccontano la loro battaglia interna per smontare il "pregiudizio antiriformista" presente nel loro partito. E si rifanno alle idee del socialista berlinese per dichiarare ancora che "non esiste idea liberale che non appartenga anche al contenuto ideale del socialismo", ribadendo che l'ordinamento liberal - democratico non è l'inerte involucro del potere capitalista, ma ha una potenzialità universale in cui tutti possono muoversi per far valere le proprie ragioni, per progredire, per riequilibrare il potere degli altri. Le "eresie" del socialdemocratico Bernstein (l850-l932) - che da tempo sono diventate patrimonio del socialismo occidentale - bussano e ribussano dunque alla porta di tutti i partiti e i movimenti della sinistra vecchia o nuova, di questo o di altri continenti che vogliano proporre o produrre qualcosa di buono per l'umanità.
Karl Popper.
Una personalità autorevole della tradizione liberale del XX secolo che da tempo è stata studiata, compresa e assimilata dall'attività teorica e pratica del movimento socialista italiano ed europeo è quella di Karl Popper. Nella mia ricerca questo autore è collocato nel filone anti - autoritario con la classica opera "La società aperta e i suoi nemici - Hegel e Marx falsi profeti". Si può ben immaginare come essa, nei decenni trascorsi, possa essere stata accolta dai circoli della sinistra comunista in Italia. "Marx...- afferma Popper - fu un profeta della storia e le sue profezie non sono risultate vere; ma questa non è la mia accusa maggiore. E' molto più importante il fatto che egli sviò un gran numero di persone intelligenti portandole a credere che la profezia storica sia il modo scientifico di approccio ai problemi sociali. Marx è responsabile della rovinosa influenza del metodo di pensiero storicista nelle file di coloro che vogliono far avanzare la causa della società aperta... . L'approccio fallibilista - secondo cui noi impariamo dai nostri errori piuttosto che dall'accumulazione di dati - ... può mostrare che il ruolo del pensiero è quello di realizzare delle rivoluzioni per mezzo di dibattiti critici, piuttosto che per mezzo della violenza e della guerra; che fa parte della grande tradizione del razionalismo occidentale combattere le nostre battaglie con le parole invece che con le spade. E' questa la ragione per cui la nostra civiltà occidentale è una civiltà essenzialmente pluralista, mentre fini sociali monolitici significherebbero la morte della libertà: della libertà di pensiero, della libera ricerca della verità e con essa, della razionalità e della dignità dell'uomo". Popper sta diventando oggi un punto di riferimento obbligato anche per molti "converted marxist" italiani. E anche questo avviene sulla strada già percorsa dal movimento socialista: il carattere socialdemocratico della visione politica di Popper è stato infatti presentato fin dagli anni '70 dalla Fondazione Friedrich Ebert, che ha dedicato a Popper il volume "Razionalismo critico e socialdemocrazia", con la prefazione di Helmut Schmidt.
John E. Roemer o del socialismo liberale.
Ho proposto il titolo di questa nota in cinque punti, traendolo dall'opera di John E. Roemer, "Un futuro per il socialismo" (Feltrinelli ed., 1996), pubblicata in originale da Harvard University Press, Cambridge (Mass). Debbo dunque presentare una conclusiva riflessione sul lavoro di questo autore definito coraggioso e lungimirante anche da osservatori di diversa scuola. E cito al proposito Pier Luigi Sacco e Armando Massarenti che su "Il Sole 24 Ore" hanno trattato con rigoroso rispetto la fatica del professore americano (cfr. Pier Luigi Sacco, "Eppure il socialismopuò avere un futuro", il Sole 24 Ore, 8 settembre 1996, p.26; Armando Massarenti, "Per un welfare più giusto", Il Sole 24 Ore, 25 settembre l996, p.6). Innanzitutto si chiarisce subito di quale socialismo si stia parlando: si tratta di "socialismo orwelliano", in nome di chi, sostenendo un ideale dì socialismo anti - totalitario (George Orwell, "La fattoria degli animali" e "1984") di quello totalitario ha saputo denunciare tutti i pericoli. Insomma, spiega A. Massarenti, "un socialismo dal forte sapore liberale, basato su una riflessione attenta sulle ragioni del fallimento delle economie dell'est europeo". Queste, spiega Roemer, è bene che siano collassate, perché con esse sono falliti dei regimi tirannici. Tali esperienze tragiche riconfermano la bontà dell'idea di "socialismo di mercato", che possiamo cosi sommariamente descrivere:
A) E' un socialismo che pone attenzione alla uguaglianza delle opportunità e delle basi di partenza e quindi alla necessità di "creazione di un sistema educativo in grado di offrire ai segmenti sociali più svantaggiati reali opportunità di accesso ad una formazione pienamente spendibile sui mercati del lavoro, compresi quelli più sofisticati e competitivi".
B) E' un socialismo che fa in modo che la proprietà azionaria, e quindi la fruizione dei profitti dell'attività produttiva, sia distribuita molto diffusamente. Tale proprietà diffusa fa sì che i "mali pubblici" determinati dall'andamento dell'attività economica siano possibilmente più limitati. Citiamo fra i "mali pubblici" la disoccupazione. Potrebbe essere interesse di ciascun singolo capitalista licenziare lavoratori: ebbene, quando i lavoratori concorrono a controllare il capitale, si terrà conto dell'interesse più generale e si freneranno i comportamenti più irresponsabili del lasseiz faire. Ma citiamo anche l'esempio dell'inquinamento. L'azionariato diffuso (non la proprietà statalizzata, che ha tollerato livelli di inquinamento orripilanti nei paesi dell'orbita sovietica) può frenare efficacemente questo male che si riverbera sulla generalità degli azionisti (si confronti al proposito anche il saggio di Giorgio Ruffolo, "Lo sviluppo dei limiti": "...la biforcazione di fronte alla quale ci troviamo ci pone non il dilemma tra crescere e non crescere, ma quello tra due tipi di 'sviluppo'. Lo sviluppo della potenza e lo sviluppo della coscienza"). Inevitabilmente ogni sistema dovrà accettare un certo livello di "mali pubblici" creati dall'economia: ma col "socialismo di mercato", cioè con la proprietà azionaria diffusa, ci potranno essere contemporaneamente effetti benefici sull'efficienza dell'economia, sulla distribuzione più egualitaria della ricchezza e sulla riduzione dei citati "mali pubblici". (Si rimanda, per un'utilissima comparazione tematica, anche al dibattito aperto negli anni '70 da "Mondoperaio", rivista teorica del Psi, raccolto poi in AA.VV., "Democrazia industriale e sindacato in Italia", ed. Avanti,1977. La tematica della partecipazione dei lavoratori alla gestione del mercato viene in evidenza; scrive Gino Giugni nell'opera citata: "Mentre non esiste nell'ambito della letteratura marxista, un progetto di democrazia economica,... sono sempre abbondanti, invece, i progetti nell'ambito dei socialismi pre o amarxisti. Infatti l'idea della partecipazione e della gestione democratica dell'economia e antica quanto è antico il socialismo"). C'è dunque un futuro per il socialismo. Ed è un futuro auspicabile non solo per i socialisti ma complessivamente per le nostre società. Un futuro che è stato coltivato da una schiera di pensatori, che generalmente - per dirla con gli autori della rivista italiana "Liberalsocialismo" - si ostinano a non ritenere "disparati e inconciliabili l'ideale della libertà politica e quello della giustizia sociale", ad affermare - con Leo Valiani sulle tracce di John Dewey - che "la libertà non vive nel mondo contemporaneo, senza giustizia sociale", ed infine ad implorare con Bertrand Russel: "Se le vostre speranze e i vostri desideri sono limitati a voi stessi o alla vostra famiglia, o alla vostra nazione, o alla vostra classe, o agli aderenti alla vostra credenza religiosa troverete che tutti i vostri sentimenti generosi sono accompagnati in modo parallelo da antipatie e da sentimenti ostili. Da una simile dualità di sentimenti si originano quasi tutti i mali peggiori della vita umana, le crudeltà, le oppressioni, le persecuzioni, le guerre. Se il nostro mondo vuole sfuggire ai disastri che lo minacciano gli uomini devono imparare a essere meno circoscritti nei loro sentimenti di solidarietà".(n. z.)

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

In quest’estate 2007 sta crescendo nel nostro Paese la concreta speranza di una rinascente forza socialista, legata ai valori della socialdemocrazia europea. La “Costituente socialista”, riunitasi a Roma il 14 luglio si è impegnata a tenere ad ottobre la conferenza programmatica e poi nel dicembre 2007 a costituire in Italia il Partito socialista affiliato formalmente al Partito socialista europeo (Pse). Riportiamo l’articolo scritto da Antonio Landolfi per la rivista Mondoperaio del Maggio-Giugno 2007 e la posizione del sen.Gavino Angius tratta da www.sdionline.it


LA SCELTA DEI SOCIALISTI
di Antonio Landolfi
• Mondoperaio – Maggio – Giugno 2007

“Andare oltre il socialismo” è la formula alchemica che si sente ripetere da tempo immemore, e che ancora una volta viene ripresentata in occasione della proposta del Partito democratico che è destinato a sorgere dal connubio tra Ds e Margherita. Una formula funambolica ed illusionistica, perché tutti i suoi precedenti storici hanno dimostrato che quando si vuole andare “oltre il socialismo” in realtà si finisce per andare da tutt’altra parte.
A ben vedere la formula in questione, che ha lo scopo di dare una giustificazione teorica al trasferimento del corpo politico ed organizzativo derivante dalla storia comunista e postcomunista in un’area diversa da quella socialista, altro non è in fondo che un ennesimo corollario della teoria di Popper della “falsificazione”, per la quale tutti i grandi movimenti culturali e politici si riconoscono per il fatto che vengono sottoposti a ripetute alterazioni falsificatrici e contaminatrici. E’ quello che da centocinquant’anni è capitato al socialismo, il cui modello teorico e pratico ha trovato innumerevoli occasioni di imitazioni discorsive, alle quali per fortuna ha saputo contrapporsi non invocando ortodossie o lanciando scomuniche, ma rinnovandosi continuamente. Per cui mentre le sue falsificazioni (molte delle quali condotte secondo lo slogan appunto di “andare oltre il socialismo”) sono via via andate scomparendo, la famiglia socialista è andata ampliandosi e rafforzandosi in Europa e in altri continenti, grazie al suo perenne processo di autorevisione che modifica in modo rapido ed efficace i suoi valori variabili, senza però alterare quei suoi valori invarianti che sono quelli identitari.
Tale capacità revisionistica, che ha portato alla attuale identità socialista liberale, ha dato luogo alla realtà di un socialismo proteiforme, ma solidamente attestato su principi fondamentali di equità sociale, di inoppugnabile scelta democratica, di difesa della libertà, dello Stato sociale, dei diritti umani, del garantismo giuridico, della laicità. Ed ha permesso ai maggiori partiti che si richiamano, in modo proteiforme, a questi principi di capeggiare i movimenti di modernizzazione in atto in Paesi come la Gran Bretagna e la Spagna e della stessa Germania dei Governi Schroeder. E non solo in Europa. Perché è da ritenere particolarmente significativa la recentissima vicenda di quello che è forse il più grande partito del mondo operante in un Paese democratico: il Partito del congresso indiano, che conta milioni di iscritti e decine e decine di milioni di elettori.
Il Partito del congresso, che ha origine dall’esperienza gandhiana, e la cui leadership s’identifica con la storia della famiglia del “mahatma” fino alla sua attuale leader Sonia, era considerato una sorta di “Margherita asiatica”: un partito popolare, democratico, anche d’ispirazione religiosa induista.
Agli inizi di febbraio del 2007, il Presidente dell’internazionale socialista Andreas Papandreu comunicava alla stampa di tutto il mondo la notizia che il Partito del congresso indiano compiva una netta scelta socialista, chiedendo l’ammissione a pieno titolo all’Internazionale socialista, che in tal modo si arricchisce della presenza del più grande partito del mondo libero. Ciò mentre la Margherita in Italia si apprestava ad operare per costituire il Pd, ponendo come condizione assoluta che la nuova compagine non abbia nulla a che fare con il socialismo europeo, escludendo ogni scelta socialista del nuovo soggetto politico.
Naturalmente tutti hanno il pieno diritto di fare le loro scelte, che comunque restano nell’ambito di un’alleanza politica generale del centrosinistra. Ciò che va messo in evidenza è il significato della scelta dei nuovi socialisti indiani: perché essa coincide con la nuova fase di modernizzazione del loro grande Paese, ed essi riconoscono che il movimento socialista è attualmente il movimento più adeguato ad affrontare e guidare la complessa opera di sviluppo economico, sociale e culturale di quell’immenso e complesso Paese.
La scelta indiana potrebbe essere di buon auspicio anche per la rinascita del socialismo italiano. In ogni caso può essere utile a formare e confermare la convinzione che la strada del socialismo è perfettamente compatibile con la soluzione delle grandi questioni che sono di fronte alla società attuale, se si segue la direttrice revisionista che è rivolta a porre i socialisti all’avanguardia dei processi di modernizzazione.
Il caso indiano inoltre propone una lettura più approfondita della scelta di segno opposto perseguita da Margherita e Ds in Italia. Essa appare destinata, al contrario di quanto affermano i suoi fautori, ad un indebolimento della cultura modernizzatrice e civilizzatrice che è propria invece dei movimenti che si richiamano al socialismo democratico e liberale.
I segnali in tal senso sono più che preoccupanti, specie in termini di laicità e di garantismo.
La debolezza della ispirazione laica e garantista, il pericolo della sottomissione ai condizionamenti corporativistici e monopolistici indeboliscono la qualità dell’iniziativa di governo in una società che ha sempre maggior bisogno di un riformismo di carattere straordinario che deve portare a misurarsi con enormi problemi di ritardo nella costituzione economica e sociale, civile e culturale di un Paese che è chiamato a recuperare terreno in ogni settore.
Il paradosso della nascita del Partito democratico, nei termini in cui avviene, è che esso rappresenta, lo si voglia o no, una fuoriuscita dalla strada del socialismo liberale proprio in coincidenza di una fase nella quale la sfida socialista e liberale appare più necessaria ed urgente.
Conseguentemente il vuoto che si viene a determinare obbliga tutto ciò che è presente nell’area socialista, ancora disunito dagli effetti della cosiddetta diaspora, ad impegnarsi in un’opera rapida di ricostruzione della presenza socialista.
Boselli ha fissato l’appuntamento per il prossimo autunno, quando dovrà tenersi la Costituente chiamata a ridare vita al Psi. In effetti il congresso di Fiuggi dello Sdi ha dichiarato in modo esplicito e con forza questa sua volontà: che, ovviamente, dovrà trovare riscontro nell’evoluzione del quadro complessivo della politica italiana, in particolar modo della sinistra, da cui dipendono le condizioni obiettive che possono tradurre nei fatti il proposito espresso dal congresso accogliendo unanimemente la proposta del suo leader.
Una condizione certamente già si intravede nella dinamica dello schieramento del centrosinistra ed è derivante dal processo in atto della formazione del Partito democratico. Il modo con cui tale processo si è determinato, ed in particolare la condizione capestro imposta dalla Margherita della fuoriuscita del costituendo partito dallo schieramento del socialismo europeo. L’effetto che rischia di scaturirne è tutto all’opposto di quello che si ripromettevano i fautori del Pd: invece di ricondurre ad unità le varie componenti riformiste del centrosinistra, ha determinato un processo di scomposizione pressoché devastante. Si è innanzitutto brutalmente interrotto il percorso che aveva condotto lo stesso soggetto politico post-comunista ad avviare il suo inveramento nel mondo del socialismo europeo ed internazionale, tanto da far ritenere a molti che tale percorso si sarebbe concluso alla lunga in una esplicita e definitiva assunzione del ruolo di rappresentanza del socialismo democratico e liberale in Italia. Su tutto questo la proposta del Pd e la conseguente accettazione di interrompere il legame con il Pse e inevitabilmente con l’Internazionale socialista ha prodotto una scissione nelle file Ds di entità che si annuncia consistente, e soprattutto ha aperto un vuoto di rappresentanza possibile del ruolo e delle esigenze di una presenza socialista, che ha inevitabilmente rilanciato la questione socialista che alcuni si illudevano fosse ormai sepolta.
C’è al fondo di tale incauto atteggiamento un errore di valutazione ben più generale. E’ l’errore di una valutazione diffusa dai maestri del terzaforzismo, con in testa Giddens, il quale ha finito per indicare in Gheddafi l’espressione più esemplare delle sue idee, secondo cui il socialismo fosse ormai al termine della sua parabola, sia come movimento di idee, sia come movimento politico. Un errore derivante sostanzialmente dal fatto che il socialismo, soprattutto quello moderno, ha la sua caratteristica originalissima nella natura proteiforme acquisita per il suo rifiuto di ogni rigida ortodossia ideologica che permette una sua costante trasformazione che non alterando il suo fondamentale modello di cultura gli permette di adeguarsi alle trasformazioni in atto nella società reale ben più rapidamente ed efficacemente di altre culture politiche.
La flessibilità e la proteiformità del socialismo democratico e liberale, il suo revisionismo permanente possono quindi ingannare coloro che non ne condividono il modello culturale di base: ed è quindi anche comprensibile (per restare alle cose italiane) che ingannino dirigenti, quadri ed elettori della Margherita; ma è meno comprensibile che ingannino quelli diessini, a meno che non sia intervenuta per essi una profonda mutazione antropologica fino ad oggi difficilmente osservabile ed analizzabile.
Sta di fatto che a ragione delle errate ed incaute valutazioni del gruppo dirigente della Quercia si è riproposta con forza la questione socialista: e non soltanto in modo teorico, ma anche in modo politico, perché contestuale all’apertura di uno spazio lasciato libero dal trasferimento dei Ds nell’area del Partito democratico.
E a differenza di quanto avvenuto in precedenti situazioni, questa volta lo Sdi non si è trovato da solo a misurarsi con la possibilità di ripresa della questione socialista e della rappresentatività delle istanze socialiste e liberali, oltre che laiche, nello spazio politico che si è certamente aperto, anche se non è ancora possibile sapere quanto ampio sarà questo spazio, e quali più o meno consistenti forze in esso si potranno incontrare.
Pertanto possiamo valutare che ad ampliare lo spazio politico che si va creando contribuisce naturalmente la percezione che il Pd presenterà un quoziente molto indebolito di laicità, e quindi è destinato ad orientare le forze associative e i singoli cittadini ad esprimersi verso un’area culturale e politica in cui trovano accoglienza le convinzioni laiche insieme a quelle socialiste e liberali. Per tale motivo il congresso di Fiuggi ha con buone ragioni confermato la caratura laica del socialismo italiano, e di conseguenza ha prospettato una linea unificante dell’area socialista aperta esplicitamente alle posizioni laiche e liberali, incluse, ovviamente, quelle radicali.
Tra l’altro ciò ha permesso di stemperare la polemica insorta negli ultimi tempi con gli stessi radicali sul destino della Rosa nel pugno, tant’è vero che Marco Pannella, intelligentemente, ha commentato positivamente l’andamento e l’esito del congresso.
Egli non vuole e non può restare estraneo ad un processo unificante di tal genere.
Quindi, come Emma Bonino ha puntualizzato nel suo discorso congressuale, la Rosa nel pugno non scompare. Oltre a rappresentare in concreto un gruppo parlamentare unitario di eletti radicali e di socialisti, ed essere rappresentativa di entrambe le due componenti nel Governo Prodi con la presenza di un ministro, di un viceministro e di tre sottosegretari, sarà chiamata a partecipare in prima fila al cammino della Costituente annunciato da Boselli. Nessuno dei gruppi socialisti che vi parteciperanno è ostile ai radicali, di cui i socialisti sono sempre stati amici, alleati, oppure in stretta sinergia; si tratterà di trovare le forme di una necessaria ed inevitabile compresenza in un’area che dovrà comprendere forze socialiste, laici, liberali, e quindi anche radicali a pieno titolo. Qualcuno parla di una Rosa nel pugno più larga. Chi vivrà vedrà, viene da dire. Certo è che Pannella ed i suoi appaiono decisi a non escludersi e a non essere esclusi dalla novità del progetto espresso dal Congresso di Fiuggi.
Potrebbe essere anche l’occasione, quella della Costituente, per chiarire un aspetto della posizione radicale che solleva un interrogativo: dove collocare sul piano dell’affiliazione internazionale i soggetti della galassia radicale?
Lo slogan secondo il quale i punti di riferimento debbono essere per radicali e socialisti i tre nomi di Fortuna, di Zapatero e di Blair, dovrebbe consequenzialmente comportare un’adesione al Partito socialista europeo, di cui i due personaggi attualmente viventi ed operanti, Blair e Zapatero, fanno parte.
In fondo si tratta dello stesso problema che si pone per la scelta che i Ds fanno costituendo il Partito democratico. Può un soggetto della sinistra democratica, liberale, laica e socialista agire sul piano europeo fuori dal campo del Pse, affiliandosi a gruppi diversi, addirittura ostili al socialismo continentale? I radicali, lo ripetiamo, che indicano per primi i nomi di Fortuna (che del socialismo internazionale era convinto sostenitore) Blair e Zapatero dovrebbero sciogliere questo nodo per associarsi al partito di cui gli ispiratori della loro azione fanno parte.
Soprattutto oggi che con il Congresso di Oporto il Pse si è aperto maggiormente all’ingresso di partiti anche di nome e di tradizione diversi. Comunque, c’è tutto il tempo per risolvere un problema che ci appare di logica politica indiscutibile.
Al progetto di Costituente di fatto già consentono – e ne sono di fatto anch’essi promotori – oltre ai socialisti di De Michelis, di Bobo Craxi, di Zavettieri e di Formica, anche dirigenti diessini come Caldarola e i seguaci di Turci che aveva già anticipato tutti gli altri.
Non solo a loro, ma anche a tutti gli altri dissidenti che lasciano la Quercia, ormai sciolta, come Mussi, Salvi, Angius e compagni, lo Sdi ha rivolto un appello ed un invito a partecipare alla sua iniziativa.
Non è dato sapere, allo stato dei fatti, quale sarà la risposta.
Ci sembra che la parte più consistente, quella che fa capo a Fabio Mussi, appare più attratta dalla prospettiva di costruzione di una sinistra aperta alla partecipazione di quelle realtà che si collocano su una posizione diversa da quella del socialismo europeo, se non addirittura in un’area nominalmente e sostanzialmente comunista. Mussi e compagni, prendendo occasione dallo scioglimento della Quercia e del loro stesso atto di indipendenza da essi compiuto, sollecitano un’evoluzione in senso socialista dell’estrema sinistra. Vorrebbero accelerare un processo di revisione, sulla scia di quello preconizzato dallo stesso Bertinotti, che però appare difficile che possa avverarsi in tempi brevi, e soprattutto, approdare sulla sponda del socialismo riformista e liberale di tipo europeo. Ne consegue che pur se esistono dialogo ed anche azioni comuni, specie sul terreno della laicità e dell’etica politica, non sarà affatto semplice trovare una strategia comune con l’ala secessionista dei Ds.
I socialisti che aspirano all’unità e al rilancio insieme con le forze laiche e democratiche, anche se lo volessero, non sono in grado di annullare il consistente tasso di innovazione culturale e politica che hanno accumulato in decenni di coraggioso revisionismo che li ha messi per primi in Italia al passo con i grandi cambiamenti delle analisi e delle elaborazioni programmatiche del socialismo moderno, come oggi da molte parti si riconosce. E non possono disperdere questo patrimonio, ma anzi aggiornarlo ed arricchirlo, perché ciò corrisponde non soltanto alle esigenze del movimento socialista, bensì anche a quelle di tutta la sinistra, che alle sue revisioni ha dimostrato, giungere sovente con enorme ritardo.

ANGIUS: MEGLIO LA 'COSA ROSA' CON LO SDI CHE UNA 'COSA ROSSA' CON IL PRC

• da www.sdionline.it 19 luglio 2007

Ancora fluida la situazione all’interno di Sinistra Democratica, la formazione nata dai Ds dopo la nascita del Partito democratico. In un colloquio con 'L'Espresso' l'ex-dirigente diessino, Gavino Angius, ribadisce che è meglio una 'Cosa Rosa' con Enrico Boselli che una Cosa Rossa "appiattita" su Rifondazione. Ma anche nel Pd ci sono fermenti di dissenso. I senatori Willer Bordon e Robertoi Manzione rilanciano l’Asinello e invitano al dialogo la Costituente socialista. Lanfranco Turci commenta: “Mi auguro che siano tanti i compagni che vorranno unirsi a noi provenendo dalla Sinistra Democratica, dai Ds e dalla stessa Margherita”. Nella sua intervista a ‘L’Espresso’, Angius ragiona così: "Per me la questione è strategica: cosa mettiamo in campo a fianco del Pd che caratterizzi in modo diverso la coalizione? Uno spazio c'è, a sinistra: ma non è uno spazio che può essere conquistato da una sinistra movimentista, massimalista. La strada della sinistra italiana lungo tutta la sua storia è sempre stata un'altra: una sinistra di governo, europea, riformista, socialista. Non dobbiamo inventare una cosa nuova: in tutta Europa questa cosa si chiama socialismo democratico". Dunque, una "sinistra di governo" è quella che immagina Angius, diversa da quella movimentista dell'ala radicale. Ma, l'esponente di Sinistra democratica, vede che dentro il suo movimento, nato dalla scissione con i Ds, non tutti la pensano come lui: "Finora Sinistra democratica ha dato l'impressione di un appiattimento su Rifondazione. E' un errore, dobbiamo correggere questa impostazione. Dobbiamo assumere un profilo più autonomo". "Sfidare il Pd -aggiunge- in modo rigoroso sul progetto e il governo del paese dando vita ad una forza che sia nel socialismo europeo e contemporaneamente aprire un confronto con la sinistra alternativa". Su questa strada, gli viene fatto notare nell'intervista, sembra pronto ad aderire alla Costituente del nuovo Psi invocata da Boselli: "Resto convinto -risponde Angius- della mia posizione al congresso Ds di Firenze: lavoro per unire le forze del socialismo democratico anche in Italia". Intanto il senatore dell'Ulivo Willer Bordon, in conferenza stampa a Montecitorio spiega che “oggi i Ds e i Dl stanno facendo una negazione, una impostura rispetto al progetto di Partito democratico a cui avevamo lavorato. E' un tradimento". Secondo Bordon bisognerebbe ripartire dall'Asinello: "Nel '98 era uno solo a crederci, oggi siamo due: io e Manzione. Ovviamente speriamo di essere qualcuno in più e guardiamo con interesse a tutto quello che si muove nell'area riformista. Aspettiamo a braccia aperte Parisi, Cinzia Dato, Boselli, Angius, Roberto Barbieri e tutti gli altri ". Nel dibattito a distanza interviene anche Lanfranco Turci. “Ad Angius – commenta - ricordo che le porte della Costituente socialista sono aperte a quanti come lui puntano a una sinistra di Governo europea, socialista e riformista. Il contributo di forze che hanno maturato queste posizioni all’interno dei Ds è prezioso per arricchire il progetto di un nuovo partito liberalsocialista impegnato sui temi dei diritti civili, della giustizia sociale e della modernizzazione del nostro Paese. Mi auguro – continua - che siano tanti i compagni che vorranno unirsi a noi provenendo dalla Sinistra Democratica, dai Ds e dalla stessa Margherita. Per questo rivolgo il mio invito anche ai senatori Bordon e Manzione. La risposta al carattere asfittico e burocratico che sta assumendo il Partito democratico, non sta nel ritorno a formule del passato più o meno recente, ma nella costruzione di un soggetto politico nuovo al contempo liberale e socialista. Questo è il terreno su cui possiamo impostare la nostra sfida al Partito democratico – conclude Turci - per una sinistra che si candidi davvero a governare e a trasformare il nostro Paese”.

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@





torna in alto




Powered by Web Wiz Site News version 3.06
Copyright ©2001-2002 Web Wiz Guide