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peggio dei fascisti
10.01.2008

INFO SOCIALISTA 10 gennaio 2008
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - per la Costituente del PARTITO SOCIALISTA in Trentino-Alto Adige collegata all'azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra -
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Quindicinale - Anno 5°
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o UN LIBRO, per cominciare: José Pablo FEINMANN, “L’ombra di Heidegger” (Se il sapiente ci inganna)
o IL PS: PER UN’ ITALIA MODERNA E LAICA - di Matteo Salvetti
o LEGGE ELETTORALE, DAL PARTITO SOCIALISTA QUATTRO NO AL REFERENDUM: "PEGGIO DELLA FASCISTICA LEGGE ACERBO"
o TRE RAGIONI PER ABOLIRE IL CONCORDATO- di Mario Patrono

UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: José Pablo FEINMANN
o Titolo: “L’ombra di Heidegger”
o NERI POZZA, Vicenza, 2007


SE IL SAPIENTE CI INGANNA - di Nicola Zoller
Il rapporto tra la saggezza e la tirannide è il tema del romanzo filosofico di José Pablo Feinmann, “L’ombra di Heidegger”. Perché la grandezza filosofica può soggiacere alla politica più abietta? Non c’è risposta, l’ombra di Heidegger offusca ancora il percorso di chi cerca il bene.

Sì, parliamo di Martin Heidegger, il filosofo tedesco considerato fra i più grandi pensatori del XX secolo, l’inarrivabile autore di “Essere e tempo”. Eppure, attraverso il “romanzo” di Feinmann – che si rifà a ricerche documentarie accurate e ormai complete - scopriamo che Heidegger fu nazista, addirittura per un certo periodo tra il 1933 e il 1934 con l’ambizione di diventare il vate di Hitler, e pagò le quote mensili del partito nazionalsocialista “sino alla fine”. C’era chi pensava che il nazismo fosse “l’avventura sanguinaria di una manica di rozzi tedeschi brutali e svitati”. Invece no: dopo aver constatato che larghissimi settori del popolo tedesco si erano fatti “volonterosi carnefici” agli ordini di Hitler, ora apprendiamo che l’ideologia nazista “non riposa sui grugniti paranoici e razzisti del Mein Kampf” ma “nel più grande libro di filosofia tedesca” scritto dopo Hegel, “Essere e tempo” appunto di Heidegger. Qui è istituita “la necessità della comunità nazionale”: non ci sono cittadini, parlamento, repubblica, insomma tutta quella immondizia che ci viene dalla rivoluzione francese: conta solo “la comunità del popolo” che sotto la guida di un Capo forgia “il destino comune, la grandezza della patria. Una grandezza meritata, visto che i tedeschi sono un popolo metafisico, il centro dell’Occidente, gli eredi della grandezza antica, quella ellenica. La salvezza dell’Europa, altrimenti schiacciata tra americanismo e bolscevismo, riposa sulla grande Germania.

Nominato dal nazismo rettore dell’Università di Friburgo, Heidegger nel “Discorso del Rettorato” nel 1933 poteva dirci come si serve la comunità nazionale, istituendo tre servizi: il servizio del lavoro, il servizio del sapere, il servizio delle armi. Quest’ultimo “esige la disponibilità al sacrificio supremo; ogni capacità della volontà o del pensiero devono svilupparsi mediante la lotta, accrescersi nella lotta e perseverare nella lotta”. Solo attraverso la lotta si conquista lo spazio che la volontà esige, lo spazio vitale. Alfine, tra i ruggiti di “Heil, Hitler”, tuona: “Tutto ciò che è grande è nella tempesta”. E di lì a poco, nell’ “Appello agli studenti tedeschi” sul finire del 1933 ammoniva: “Le regole del vostro essere non siano principi dottrinari e ‘idee’; solo il Führer stesso è nel presente e nel futuro la realtà tedesca e la sua legge”. Ecco qui l’intelligenza che soccombe al male, ecco “the great trouble”, il grande guaio evocato da Leo Strauss: siccome Heidegger è il più grande pensatore del nostro tempo, la grande filosofia rischia di essere miseria, inganno.

Nel 1935 Heidegger si dimette da rettore appena in tempo per non cadere sotto i colpi che, su ordine di Hitler, annienteranno le SA di Ernst Röhm. Quest’ultimo col suo movimento – che aveva raggiunto tre milioni di aderenti, dominando con le proprie organizzazioni studentesche e goliardiche soprattutto il mondo universitario – propugnava una radicalizzazione ulteriore della lotta nazista contro l’alta borghesia industriale e agraria e contro i vertici dell’esercito. Reputando Hitler troppo debole, invoca – se possibile- una ulteriore svolta nazionalpopulista. Heidegger, che come rettore di Friburgo ha avuto bisogno dell’appoggio di Röhm e con lui si è schierato – fiuta l’odore del massacro: nell’aprile 1934 lascia il rettorato, a fine giugno in due giorni la repressione hitleriana stroncherà nel sangue più di mille seguaci di Röhm. Heidegger si salva, è un filosofo troppo geniale per essere scannato, ma le sue ambizioni vengono smorzate. Racconta Feinmann: “Ha creduto che Hitler sarebbe stato il Führer della guerra e lui, al suo fianco, quello della filosofia”. Troppa ambizione l’ha portato addirittura a fiancheggiare la versione più estrema del nazismo (*), quella delle SA: ora ritorna nei ranghi, continuerà ad insegnare filosofia e a pagare i bollini della tessera nazista fino al 1945. E dopo la fine della guerra tragica, rimuoverà le proprie colpe, non darà mai una spiegazione del suo impegno nazista. A differenza dell’altro protagonista di questo “romanzo”, il prof. Dieter Müller - seguace di Heidegger e professore di filosofia anch’egli – che si suicida nel novembre 1948. Confessa: certi semi che ho gettato vigliaccamente hanno portato all’abominio delle camere a gas. Morirà senza redenzione, ma con più dignità di Heidegger, “una stella finita nella polvere”.


(*) Mutatis mutandis, qui mi sovviene – si parva licet componere magnis - la vicenda di un celebrato maestro italico, Indro Montanelli: a 27 anni partecipò ad una cruenta carneficina contro gli etiopici nella guerra coloniale del 1936, criticando poi nei suoi resoconti la politica coloniale del fascismo considerata troppo blanda: “Coi negri non si fraternizza. Non si può. Non si deve” (in “Critica fascista”, 1936). Passerà poi alla storia come nume tutelare di più generazioni di giornalisti italiani. Ma andiamo…



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Matteo Salvetti, 27 anni, socialista, laureato in Sviluppo e cooperazione locale ed internazionale presso la facoltà di Scienze politiche delll’Università di Bologna, collabora dal dicembre scorso con la nostra “infoSocialista”. Pubblichiamo molto volentieri questo suo contributo (n.zoller)

“IL PS : PER UN’ ITALIA MODERNA E LAICA”


Intervistato a “Che tempo che fa” sul tema delle divisioni interne al PD sulle questioni riguardanti il riconoscimento dei diritti alla coppie di fatto e l’approvazione di una legge di condanna dell’omofobia Prodi risponde d’essere entrato in politica mosso dalla sola volontà di unire in un unico progetto politico riformisti, cattolici liberali e socialisti.
Pochi giorni fa è stata tuttavia proprio la senatrice Binetti del suo stesso partito ad opporsi all’approvazione di un decreto contro le discriminazioni razziali, xenofobe e sessuali. È di oggi inoltre la notizia della bocciatura da parte del Comune di Roma della proposta di istituire nella capitale un registro delle coppie di fatto. La maggioranza di centro sinistra è caduta proprio a causa dell’atteggiamento del Partito democratico di Veltroni che Miriam Mafai su “Repubblica “ non ha esitato a definire in prima pagina “la prima sconfitta del PD”.
Prodi parla in diretta ricordando derive berlusconiane , fa bilanci, invita gli italiani a guardare “il bicchiere mezzo pieno” mostrandosi incapace di capire il senso di “depressione” dell’italiano contemporaneo, in particolare quello “di sinistra”.
L’insoddisfazione a sinistra sorge spontaneamente dal “gioco al ribasso” fatto dai politici di questa parte sui temi delle riforme, dell’uguaglianza degli individui e della laicità. La politica televisiva e mediatica e il confronto con i sondaggi di gradimento sembrano aver conquistato anche la sinistra. Il sistema finisce quindi per sembrare bloccato e statico senza grandi prospettive di miglioramento.
Invece no. A febbraio un congresso segnerà la nascita del Partito Socialista che nel Parlamento europeo sarà compagno di banco nelle votazioni del PSOE spagnolo di Zapatero, della socialdemocrazia svedese, dell’SPD tedesca e del Labour inglese. E il PD , dove troverà posto?
A febbraio i socialisti riformisti e democratici avranno anche in Italia un punto di riferimento per cercare l’ammodernamento del Paese e della sua società civile senza scendere mai a compromessi nella difesa dell’uguaglianza, della legalità e della fraternità.

Matteo Salvetti

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LEGGE ELETTORALE, DAL PARTITO SOCIALISTA QUATTRO NO AL REFERENDUM: "PEGGIO DELLA FASCISTICA LEGGE ACERBO"


La premessa è la fiducia "nella piena autonomia e assoluta imparzialità della Corte costituzionale". Per questo il Partito socialista ha deciso di passare al contrattacco contro il referendum sulla legge elettorale con un atto formale: la presentazione di una "memoria oppositoria" che è stata depositata questa mattina alla Consulta.
L'iniziativa è stata illustrata in una conferenza stampa a palazzo Madama alla quale erano presenti Enrico Boselli, il senatore Gavino Angius, i deputati Roberto Villetti e Angelo Piazza e i costituzionalisti felice Besostri e Costantino Murgia. Per i Socialisti, la legge che verrebbe fuori dal referendum, infatti, ha un solo precedente "nella legge Acerbo degli anni del fascismo" mentre la legge truffa del '53 "a confronto risulta ragionevole".
"Noi - ha sottolineato Boselli - non discutiamo lo strumento del referendum ma pensiamo che produca un risultato che viola le norme di ammissibilità. Ci auguriamo che questa memoria venga discussa e valutata. E' la prima che viene depositata ma siamo certi che ce ne saranno altre".
"Sulla legge elettorale la confusione regna sovrana". Ha proseguito Boselli che non considera "un fatto negativo il dialogo avviato tra Veltroni e Berlusconi", ma "quello che non ci convince e' il contenuto dell'accordo". L'esponente socialista, infatti, ritiene che quell'intesa sulla legge elettorale vada solo "nell'interesse di due partiti: il Pd e Forza Italia". E, aggiunge, "le difficolta' del governo Prodi non sono causate dai piccoli partiti", ma dal fatto che "abbiamo vinto le elezioni per caso, abbiamo fatto finta di aver stravinto e il giorno dopo, invece di avviare un dialogo con l'opposizione, il centrosinistra ha preso tutto". "Per evitare la frammentazione non basta modificare la legge elettorale, serve il coraggio di cambiare la nostra Costituzione". Infatti, dice, "abbiamo un sistema politico che muove verso il presidenzialismo, mentre la Carta costituzionale muove in senso opposto e questo blocca il sistema".
I socialisti si oppongono al referendum, ha spiegato Angius, per ragioni sia di ordine politico che giuridico. "Le prime - ha osservato - sono riassumibili nel fatto che con il referendum ne uscirebbe una legge mostruosa che non ha riscontro in nessuna democrazia occidentale, che pregiudicherebbe irrimediabilmente la funzione rappresentativa, stravolgendo il significato del voto con un abnorme premio di maggioranza".
Tra le ragioni di inammissibilità elencate nella memoria presentata dai Socialisti c'è "il difetto di chiarezza e di coerenza del quesito" che "non comprende l'abrogazione della norma che prevede la presentazione del programma e l'indicazione del premier insieme alla presentazione della lista": questo, si osserva, potrebbe portare alla conseguenza che "un programma comune a più liste, che risultasse nel complesso anche largamente maggioritario risulterebbe perdente" se una lista solitaria riportasse "un numero di voti maggiore della più votata delle liste con identico programma".
La seconda ragione, si legge, consiste "nel rilievo che il referendum proposto né elimina e neppure corregge la normativa in vigore, ma ne stravolge il senso politico e giuridico".
Terza motivazione è "che il quesito referendario restringe il libero esercizio del diritto dei poteri di associarsi presentando programmi comuni e lascia pregiudicate le possibilità di poter governare mantenendo immutate la differente attribuzione del premio di maggioranza tra Camera e Senato". Infine, "il quesito referendario restringe il diritto di libera associazione in partiti politici, senza che questa restrizione possa considerarsi una via necessaria per garantire la governabilità".
I Socialisti sottolineano poi come, in via ipotetica, una sola lista possa accedere al 55% dei seggi anche con percentuali sotto il 20%.
"La legge che ne uscirebbe - ha osservato Villetti - ha un solo precedente, la legge Acerbo che almeno prevedeva una soglia del 25%. Noi non dobbiamo pensare a liste che raggiungono il 35% dei voti, ma dobbiamo ipotizzare che possa arrivare ad avere il 55% dei seggi anche una lista che arrivi al 15%". Piazza ha poi ribadito come, mentre "si è parlato di pressioni nei confronti della Corte, i Socialisti hanno scelto la via della trasparenza" presentando la memoria. Quanto alle ragioni giuridiche, la prima obiezione è che questo referendum non è abrogativo, come prevede la Costituzione, ma, come ha spiegato Villetti, "attraverso un'ardita operazione di ago e filo si è praticamente legiferato".

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DOCUMENTI – da MONDOPERAIO N. 6- 2007


TRE RAGIONI PER ABOLIRE IL CONCORDATO

di Mario Patrono

Oggi sono cinque i Paesi dell’Europa occidentale in cui è in vigore un Concordato: lo è in Germania, lo è in Austria, lo è in Spagna, lo è in Portogallo, e lo è in Italia.
L’attuale Concordato, in ciascuno dei cinque Paesi, ha il suo diretto ascendente in un primitivo Concordato che lo Stato totalitario stipulò con la Santa Sede nel periodo in cui era al potere in quei Paesi.
Si tratta:
- per la Germania, del Concordato con il Reich germanico e cioè con la Germania nazista, del 20 luglio 1933, successivamente “transitato” nell’ordinamento giuridico della Repubblica federale tedesca a seguito di una sentenza del Bundesverfassungsgericht del 1955, che ne proclamò ufficialmente la sussistenza e il valore;
- per l’Austria, del Concordato del 3 giugno 1933, concluso “in prevenzione” quando già si addensavano su quel Paese le nere nubi del nazismo, Concordato che aveva cessato di essere applicato negli anni dell’Anschluss, ma dichiarato reviviscente dal Governo austriaco nel 1957, e successivamente aggiornato e rivitalizzato attraverso consecutive convenzioni;
- per il Portogallo, del Concordato “salazariano” del 7 maggio 1940, successivamente aggiornato (ma non sostituito) dal nuovo Concordato del 18 maggio 2004;
- per la Spagna, del Concordato “franchista” del 27 agosto 1953, successivamente aggiornato per effetto di cinque diversi “Accordi” conclusi con la Santa Sede, nel periodo dal 1976 al 1979;
- per l’Italia, dei Patti lateranensi e cioè del Trattato e del connesso Concordato, stipulati tra il Governo fascista e la Chiesa cattolica l’11 febbraio 1929, tuttora vigenti in quanto ad essi continua a richiamarsi testualmente l’articolo 7, secondo comma, della Costituzione (e come del resto ha stabilito la stessa Corte costituzionale con la sent. n. 421/1993), benché nel 1984 sia intervenuto un “Accordo” che apporta modificazioni al Concordato del 1929.
Il “classico” Concordato dei fascismi si può definire come il particolare strumento con il quale si celebra lo sposalizio fra lo Stato totalitario e la Chiesa cattolica, sposalizio in cui i vantaggi delle due parti contraenti si equivalgono.
Lo Stato totalitario attraverso il Concordato perviene a neutralizzare la Chiesa cattolica come forza politica (eventualmente) avversaria e anzi pattuisce con essa per servirsene come alleata, potente alleata, nel doppio ruolo che sempre all’interno di tutte le dittature di destra la Chiesa ha accettato di svolgere, e cioè sia di efficace strumento di coesione della compagine statale e di esaltazione del vincolo stesso nazionale, sia di fattore di conservazione sociale, nella misura in cui essa educa al senso di appartenenza, al principio di autorità, all’obbedienza, all’abnegazione, al culto della famiglia di cui la Patria è la proiezione su scala nazionale, ad accettare il ruolo per definizione subalterno della donna, un ruolo congeniale a qualunque sistema sociale non ordinato secondo un principio democratico, e massimamente funzionale all’organizzazione fascista dello Stato e della società. L’effetto, previsto e voluto o accettato dalle due parti, è che ne guadagna il regime, si rinforza cioè la dittatura.
In cambio, nel do ut des, la Chiesa cattolica ottiene dallo Stato totalitario la garanzia di una legislazione che salvaguardi l’essenziale libertà della Chiesa stessa nell’esercizio della sua missione pastorale e il diritto da parte sua di regolare liberamente i propri affari, e inoltre riceve a conguaglio dallo Stato un poderoso trattamento di favore – di varia gradazione nei cinque Paesi: meno imponente nella Germania nazista che in Italia e nella “cattolicissima” Spagna del Caudillo – fatto comunque di privilegi, sovvenzioni, immunità che insieme vanno a costituire un forziere pressoché inesauribile a disposizione delle varie Chiese nazionali e in primis della Chiesa di Roma… (si legga il seguito sul sito www.sdionline.it alla voce Mondoperaio)



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