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Dopo Auschwitz
25 gennaio 2008

INFO SOCIALISTA 25 gennaio 2008
a cura di n.zoller@trentinoweb.it

- per la Costituente del PARTITO SOCIALISTA in Trentino-Alto Adige
collegata all'azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra -
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Quindicinale - Anno 5°

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o UN LIBRO, per cominciare: Hans Jonas, “Il concetto di Dio dopo Auschwitz” -per il 27 gennaio, giorno della Memoria- di N.Zoller
o Governo battuto. Ora è difficile evitare il voto anticipato
o Legge elettorale e gli errori del Pd nell'ultimo numero di Mondoperaio
o Socialisti siamo e tali resteremo - di Riccardo Bacchi (dal giornale "l'Adige" del 13.1.2008)
o Il Papa e "la Sapienza": Le ingerenze della chiesa sempre più insistenti - di Alessandro Pietracci (dal giornale "Trentino" del 24.1.2008)

o La ricerca: Le radici antitotalitarie dell'Europa- di Matteo Salvetti

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UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Hans Jonas
o Titolo: “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”
o Ed. Il Melangolo, Genova

-Per il 27 gennaio, GIORNO DELLA MEMORIA -
“Dov’è Dio? Eccolo: è quel bambino appeso lì a quella forca” - di Nicola Zoller

“Chi non intende rinunciare al concetto di Dio, deve ora pensarlo in modo del tutto nuovo”. E’ questa la sfida lanciata dal filosofo Hans Jonas con la sua meditazione sull’olocausto ebraico contenuta nel saggio “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”.
Dio ha permesso che accadessero cose spaventose e terribili. Ma quale Dio poteva permet-terlo?
Per poter ancora legittimare la nostra immagine di Dio, Jonas sostiene che bisogna rinunciare alla dottrina tradizionale della assoluta illimitata potenza divina. Il male c’è - egli spiega - solo in quanto Dio non è onnipotente. Il male esiste ed ha successo “quale oggetto della volontà umana”.
Cosa resta allora di Dio? Resta la sua bontà. Dio è bontà assoluta, ma non è onnipotente. Non lo è più dall’atto della Creazione, che è un atto di autoalienazione divina manifestatasi con la concessione della libertà all’uomo. Durante gli anni in cui si scatenò la furia di Auschwitz, Dio restò muto: non intervenne - puntualizza Jonas - non perché non volle, ma perché non fu in condizione di farlo. E non lo fu perché aveva rinunciato alla potenza, una rinuncia che avvenne “acciocché noi po-tessimo essere, ... perché quell’Unico ha concesso qualcosa all’Altro da sé, da lui creato”.
Questo non è più il Dio degli eserciti, il signore della storia, tramandatoci dalla Bibbia. Dio - nella nuova concezione di Jonas - è un Dio “sofferente”, che è “toccato” da ciò che accade nel mon-do. E quel “toccato” significa alterato, mutato nella condizione di onnipotenza originaria: “ha fatto intervenire altri attori e in questo modo ha fatto dipendere da loro la sua preoccupazione”.
Questo Dio è “buono”, infinitamente buono, ma la sua bontà non può escludere l’esistenza del male.
Introducendo questo saggio, Carlo Angelino ci dà una struggente immagine di questa situa-zione, citando il racconto di Elie Wiesel “La notte”, che evoca l’impiccagione nel campo di sterminio di tre prigionieri, tra cui un bambino, “l’angelo dagli occhi tristi”. Dei tre impiccati due gridano, pri-ma dell’esecuzione, la loro fede nella libertà, cioè nell’uomo che conosce il bene e il male ed è libero di operare l’uno e l’altro. Ma il terzo, l’angelo dagli occhi tristi, resta in silenzio. Alla domanda disperata di chi si chiede dove sia Dio in quel momento, Dio si manifesta nel cuore dell’umanità che assiste alla tragedia indicando il bambino che penzola dalla forca: “- Dov’è dunque Dio? E io sentivo in me - racconta Wiesel - una voce che gli rispondeva: - Dov’è? Eccolo: è appeso lì a quella forca”.
Il bambino che resta in silenzio, che non rivendica come gli altri due impiccati la sua umanità, è la rappresentazione dell’assoluta impotenza di Dio, cioè della sua impossibilità di intervenire nella storia del mondo. Né il bambino né Dio conoscono il male, privilegio e dannazione della libertà uma-na.

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Governo battuto. Ora difficile evitare il voto anticipato

Prodi non ce l'ha fatta. Il governo è stato battuto al Senato con 161 no, 156 sì, e un astenuto. Decisivo il voto contrario dei diniani e di Mastella, che si sono aggiunto al no annunciato di Turigliatto. Il discorso del presidente del Consiglio, "Non si può lasciare l'Italia senza un governo" e il voto, a sorpresa, a favore di Prodi da parte del senatore dell'Udeur, Nuccio Cusumano, non sono bastati a scongiurare la crisi. Immediatamente dopo il voto, Prodi si è recato al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del presidente Napolitano.
“La crisi del governo Prodi apre un vuoto che sarà difficile, se non impossibile, da colmare e che può portarci dritti dritti alle elezioni anticipate”. Afferma Enrico Boselli, commentando l’esito del voto al Senato. “ Non mi sembra proprio – prosegue - che ci siano le condizioni per varare un governo istituzionale di fronte all’indisponibilità del centrodestra che si sente già la vittoria elettorale in tasca. Solo Prodi può prendere un’iniziativa per cercare di fare un nuovo governo basato su un nuovo programma. Questa crisi è stata sancita dall’aperta dissociazione di Mastella a cui si è accompagnato Dini, ma ha molti padri nella maggioranza. Non credo però che ora sia il momento di acuire le polemiche e le divisioni – conclude Boselli - , ma quello dell’unità del centrosinistra, che non deve dare per scontata la sconfitta”.

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Legge elettorale e gli errori del Pd nell'ultimo numero di MONDOPERAIO

E' uscito il numero di gennaio-febbraio di “MondOperaio”. Luciano Pellicani espone, nell’editoriale, le ragioni della totale fallacia politica e culturale del progetto del Partito democratico così come si è venuto a delineare fino ad oggi. Tra gli articoli da segnalare, nella sezione “Attualità politica” una lunga conversazione di Emanuele Macaluso con Antonio Landolfi giunge a rivolgere accoratamente ai socialisti lo slogan che fu di Petro Nenni: “Rinnovarsi o perire”. Seguono gli articoli di Alberto Benzoni e Fulco Lanchester, che fanno il punto sulla legge elettorale. Antonio Ghirelli ci spiega che è vero, il calcio è malato, ma la società nel suo complesso non sta affatto meglio. Enrico Tessarin, infine, fa il punto sulle liberalizzazioni in Italia: a che punto siamo con questo importante processo per la nostra economia? Nella sezione “Saggi e dibattiti” viene pubblicata una lettera inedita di Antonio Gramsci, scritta dal carcere di Turi, seguita da un commento di Giuseppe Tamburrano, il quale ci spiega come Togliatti fece di tutto per far restare Gramsci in carcere e non tentare di farlo liberare dal regime fascista. La sezione “Rassegne” si apre con una recensione di Paola Vasconi sul bullismo e sui discutibili metodi educativi dei bambini e dei giovani nella scuola italiana di oggi. Nicola Zoller si occupa dei fannulloni nella pubblica amministrazione commentando il libro di Pietro Ichino, mentre Orfeo Notaristefano, alla voce “Enciclopedia”, tratta da par suo il tema delle mafie, spiegandone origine, evoluzione e contrasto da parte dello Stato e, da tempi recenti, finalmente, anche da parte della società civile.

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Socialisti siamo e tali resteremo - di Riccardo Bacchi (dal giornale "l'Adige" del 13.1.2008)

Registriamo in queste settimane una particolare e cortese attenzione rivolta ai socialisti, con i riflettori accesi sulle motivazioni che li inducono ad essere critici nel confronto del P.D., definito da più parti, con un parossistico entusiasmo, baricentro e architrave della democrazia italiana. C’è chi addirittura pronostica un’estinzione definitiva dei Socialisti nel caso di mancata adesione al P.D.. Questo francamente appare oltre che ridicolo provocatorio e denuncia il pensiero debole di chi, in una visione totalizzante, vorrebbe emarginate tutte quelle componenti che, fuori dal coro, si avvalgono di criteri di analisi diversi dai loro. Questo rafforza le nostre valutazioni critiche ed il nostro profondo convincimento che proprio aderendo al P.D. i Socialisti rischierebbero di morire per asfissia, strangolati dalle due componenti più forti. In nome di una forzata semplificazione del quadro politico, che per la verità poco ha a che fare con la storia del nostro Paese, senza un tramite concettuale con la realtà con la quale ci si deve confrontare, non si può costruire a tavolino un partito che sia solo il risultato di un’aggregazione ed di un alveamento di due componenti diverse tra di loro senza una legittimazione storica, ideologica e politica, al solo fine di non perdere una certa zona dell’elettorato. E’ un esercizio meccanico ed improduttivo che non ha niente a che spartire con la costruzione di un partito nuovo con una piattaforma politica e culturale nuova, capace di esprimere un gruppo dirigente che la interpreti al meglio. In tutta franchezza non riusciamo a capire, è possibile sia un nostro limite, perché mai dovremmo metterci assieme ai post comunisti e ai post democristiani in nome di un’unità non si sa bene di chi e di che cosa e soprattutto che non trova riscontro nella realtà effettuale, né sul piano culturale né su quello politico. Se non ci associamo al peana per questo P.D. non è per alterigia ma per la lucida consapevolezza che il posto di un movimento autenticamente laico e riformista oggi è altrove e comunque lontano dai potenti gruppi di pressione esterni ed interni che sembrano avere grande ascendente sul gruppo dirigente del P.D..
Io non so se ci sarà una costituente socialista in Trentino e se ci sarà non so chi vi parteciperà.
Vorrei però che gli amici ed i compagni, pur guardando avanti, non dimenticassero il tracciato del movimento socialista trentino che può vantare un ruolo originale di primissimo piano nella storia della nostra provincia. Penso all’interventismo democratico del Socialismo Battistiano, penso all’antifascismo militante che ebbe il suo momento più alto nel manifesto – programma del febbraio del 1944, penso alla costruzione dell’autonomia nel secondo dopo guerra, quando i socialisti si trovarono a mediare fra una D.C. egemone e un P.C.I. che faticava ad uscire dal ghetto perché ancora blindato in una ferrea ortodossia.
Si tratta di un patrimonio che non può andare disperso in confuse e disordinate aggregazioni ma che va custodito e proiettato intatto nel futuro con rigore e coerenza. Il partito di Veltroni ci fa intravedere una spericolata traiettoria lungo la quale trovano una fantasiosa sistemazione Don Milani e Gramsci, Popper e Gentile , Turati e Togliatti e chi più ne ha più ne metta in un vero e proprio campo di Agramante. Un partito a più voci rigorosamente diverse tra di loro che non ci affascina e che certo non durerà a lungo. Questo non significa che non sia possibile un’alleanza con il partito democratico in vista delle prossime elezioni provinciali. Magari, nel futuro consiglio provinciale ci fosse spazio per una voce socialista, capace di sostenere i grandi valori laici e riformisti di una società moderna: dalla difesa della scuola pubblica, all’impegno per una gestione democratica della Sanità e per una politica ambientale compatibile con un serio sviluppo. L’amico Vincenzo Calì obietta “che il processo costituente avviato dallo S.D.I. è di fatto una rifondazione sulle stesse fondamenta del vecchio P.S.I.”. Può essere. Ma cos’è caro Calì il P.D. se non un’obliqua e confusa rifondazione sulle fondamenta dell’ex D.C. e dell’ex P.C.I.?. Penso che difficilmente oggi Carlo Rosselli definirebbe il P.D. “come una creatura nuova da capo a piedi”, con il vecchio gruppo dirigente che si ritrova, con una vecchia identità che gli resta incollata addosso e con i vecchi comportamenti politici che continua ad ostentare. L’equivoco in fondo sta tutto qui: non si tratta di un nuovo soggetto di centro sinistra ma di due vecchi soggetti che si sono rifatti il trucco in fretta e male più qualche insignificante ruotino di scorta. Sono certo che con Vincenzo Calì e con tutti quegli amici che oggi non condividono la nostra scelta, ma ai quali sta a cuore l’unità della sinistra, ci ritroveremo in un giorno non lontano a camminare assieme nella lunga marcia verso l’unità socialista che non si raggiunge certo attraverso scorciatoie contaminatrici. Non ci si scandalizzi oltre il dovuto: la storia del movimento socialista è fatta di scissioni, composizioni, lacerazioni e ricomposizioni senza che mai sia stato intaccato lo zoccolo duro del movimento. In questo fervore di prefigurazioni di nuovi scenari, non dimentichiamoci la società civile, precipitata in una crisi devastante che potrebbe diventare irreversibile se lasciata nelle mani di chi annuncia farneticanti messaggi populisti. Per quello che ci compete, cercheremo di continuare ad essere portatori dei valori più alti di fratellanza, di solidarietà, di rigore morale che hanno segnato la storia del movimento socialista e che le recenti brutte vicende non sono riuscite ad oscurare. Verso la metà del secolo scorso un’importante ed influente dirigente socialista scriveva un volume dal titolo emblematico “L’Italiano è Socialista e non lo sa”. Facciamoglielo sapere.

Riccardo Bacchi, editore e membro del direttivo provinciale SDI

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Il Papa e "la Sapienza": Le ingerenze della chiesa sempre più insistenti - di Alessandro Pietracci (dal giornale "Trentino" del 24.1.2008)

La rinuncia di Benedetto XVI a partecipare alla cerimonia di apertura dell’Anno Accademico dell’Università “La Sapienza” di Roma, credo sia stata una scelta assolutamente opportuna, visto il clima creatosi intorno a quella visita, clima reso incandescente, non solo e non tanto dal documento di un gruppo di docenti che poneva in dubbio l’opportunità che il Papa tenesse la lectio magistralis, in quella occasione, ma dal clamore delle polemiche e delle accuse e controaccuse di intollerenza di integralismo (cattolico e laico); di oscurantismo e di rifiuto al dialogo e alla reciproca comprensione.
Tale clima, in realtà è la conseguenza ovvia della crescente ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche ad ogni livello, in presenza della debolezza ormai fisiologica della politica e delle istituzioni italiane.
Diversi episodi nel recente passato hanno profondamente minato il rapporto fra Chiesa e cultura laica, ne cito solo alcuni: la legge 40, il caso Welby, le unioni civili, la 194; ultima non a caso la lettera dei sessanta docenti e scienziati della Sapienza che contestavano la visita del Papa, tra i quali insigni fisici, che onorano l’Italia con i loro studi definiti con espressione sprezzante dal Rettore della Pontificia Università Lateranense “vecchie cariatidi”.
Le questioni citate, forse quelle che piu’ hanno colpito le coscienze degli italiani mostrano in modo sempre piu’ scoperto che l’Italia rischia di divenire – se non lo è già - un paese a sovranità limitata, quantomeno sul piano dei valori etico-religiosi.
Ma tornando alla polemica in atto non si può accettare il tentativo di far passare la parola laicità come sinonimo di “intolleranza”, semplicemente perché è vero esattamente il contrario.
Laicità significa libertà di parola, di pensiero, di iniziativa, di rispetto delle diverse sensibilità.
Laicità è innanzitutto garanzia per il cittadino di poter fare affidamento su istituzioni pubbliche che operano in modo svincolato da qualsiasi pregiudizio confessionale o ideologico, avendo sempre al centro della propria azione l’interesse generale della collettività di cui sono espressione. Abbandonare questi principi significa arrendersi politicamente e culturalmente di fronte all’attacco frontale dei settori piu’ aggressivi del mondo cattolico, prevalentemente di destra.
In tutte le occasioni ricordate abbiamo dovuto registrare un crescente allargamento della sfera di influenza della Chiesa cattolica che non ha avuto pari nella nostra storia repubblicana ma, ciò che mi ha colpito di piu’ in questa occasione è stata la constatazione che a fronte di questa iniziativa i partiti politici italiani, soprattutto di sinistra, si sono dimostrati deboli se non tremebondi, in qualche caso addirittura vili. L’effetto dell’ingerenza della Chiesa nella sfera pubblica è la negazione della libertà. E’ il principio di emancipazione, la libertà appunto, ad essere la vittima principale di queste azioni. E se qualcuno riafferma la valenza fondante del principio di laicità e, allo stesso tempo, la rilevanza pubblica della sfera religiosa, in sostanza dice che la terra è sì tonda, ma che può essere anche considerata piatta.
Non credo che continuando così tireremo fuori l’Italia dalle secche, anche culturali, in cui si trova, come ha opportunamente affermato, a nome del Partito Socialista Gavino Angius, in un recente dibattito.
Laicità, dunque come sinonimo di libertà e rifiuto dell’esistenza di una morale superiore dei credenti con la quale si può dare lezioni ai non credenti, quasi fossero portatori di una morale inferiore. La politica è scelta per il bene di tutti, anche per il bene di coloro da cui ci si sente culturalmente distanti.
Le legislazioni dei paesi europei piu’ avanzati hanno dimostrato che è possibile trovare, nel rispetto delle tradizioni culturali, soluzioni equilibrate a garanzia della libertà dei cittadini. Soltanto così una democrazia diventa piena in quanto si misura con il multiculturalismo etnico e/o religioso proprio delle società moderne.
Su questi temi, fondamentali per lo sviluppo democratico e civile del nostro Paese, credo sia opportuno anche a Trento ed in Trentino promuovere, in tempi stretti, una giornata di confronto per dare il nostro contributo positivo, come socialisti, al dibattito in corso nel Paese.
Da giovane mi fece particolarmente riflettere una frase, quanto mai attuale in questa occasione:
“Santo è Lattanzio il quale nega che la terra sia sferica;
Santo Agostino il quale ammette che la terra sia sferica ma nega l’esistenza degli antipodi, Santo l’Uffizio il quale ammette gli antipodi ma la ritiene immota; piu’ Santa tuttavia è per mé la verità, la quale ci rivela che la terra è una piccola sfera, che ha antipodi e si muove”. Keplero (Astronomia Nova).

Alessandro Pietracci
Capogruppo Socialista a Palazzo Thun

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LA RICERCA
Le radici antitotalitarie dell'Europa - di Matteo Salvetti

Da un punto di vista strettamente geografico risulta assai difficile definire una netta delimitazione del territorio europeo. L’Europa pur essendo considerata come un vero e proprio continente non presenta infatti confini naturali certi. Volendo poi riconoscere all’ Europa un’identità culturale autonoma e ben definita la questione dei “confini europei” si complica ulteriormente.
Il processo di allargamento dell’Unione europea ha causato tra gli intellettuali un acceso dibattito su quelli che dovrebbero essere i valori fondanti della civiltà europea. L’esigenza di trovare un substrato culturale comune ai differenti popoli europei è stata motivata dalla volontà di dotare l’UE di una struttura ideale sufficientemente forte da renderla capace di espandere la propria influenza politica nello scenario mondiale odierno caratterizzato dal sorgere di nuove potenze economiche e militari (Cina, India e Russia).
Questa ricerca di principi fondanti e radici culturali comuni ha prodotto schieramenti e divisioni tra storici e filosofi: da una parte c’è chi ricorda la tradizione democratica dell’antica Grecia, dall’altra chi si rifà alle idee dell’Illuminismo e al pensiero “razionale”. Non per ultimo, in termini di influenza, è il club di pensatori che ritengono la civiltà europea fondata sulla base dei valori del Cristianesimo. Ci si dimentica così come il processo di integrazione europeo sia stato originariamente pensato per guardare al futuro e non al passato, tanto meno a quello più remoto.
Nel 1951 la nascita della CECA era stata fortemente voluta dal ministro degli esteri francese Schuman innanzitutto per superare le tensioni e le rivalità causate dalla Seconda guerra mondiale tra Francia e Germania. L’Unione europea nasceva quindi soprattutto dall’esperienza negativa della guerra e dalla volontà dei popoli europei di rifiutare l’utilizzo del conflitto bellico come metodo di soluzione delle controversie tra Stati.
La caduta del Muro di Berlino e della cosiddetta Cortina di Ferro e il recente allargamento dell’UE ai nuovi Paesi dell’Europa centro orientale ha rappresentato una ulteriore passo in avanti del processo di integrazione nel segno della pace e della stabilità. Grazie alla caduta dei regimi comunisti ad Est (con eccezione della Bielorussia) l’Europa ha eliminato al suo interno ogni sorta di sistema dittatoriale.
L’evento è di portata notevole ed è giusto ricordare, a noi che tendiamo a dare per scontati i diritti della cittadinanza democratica , come a partire dagli anni Venti fino al 1989 tutti gli Stati europei con la sola eccezione di Svizzera , Gran Bretagna e Irlanda, abbiano vissuto regimi dittatoriali autoritari di diverso colore oppure occupazioni militari straniere di potenze antidemocratiche.
Il rifiuto del totalitarismo in tutte le sue espressioni è quindi più di altri il valore che oggi accomuna i vari popoli europei indipendentemente dalle proprie origini nazionali o dalle diverse fedi religiose.
Se il nostro obbiettivo è quello di consegnare alle nuove generazioni un mondo più pacifico, libero e democratico, non possiamo non credere ad un progetto europeo che necessariamente deve essere il più “inclusivo” possibile.
Come ben descritto nel libro di Jared Diamond “Armi, acciaio e malattie” ( Einaudi Tascabili 1997) civiltà evolutissime del passato contemporaneamente superiori per livello di conoscenze a quelle europee hanno finito nel corso della storia per arretrare il proprio stadio di sviluppo proprio a causa della loro incapacità di aprirsi al mondo da un punto di vista commerciale e culturale. Esattamente il rischio che si troverebbe a correre un’Europa fondata su un’unica ideologia egemonizzante. L’Unione europea avrà senso di esistere in futuro , oltre i confini territoriali posti dagli uomini (quindi per nulla “sacri”, immodificabili o inviolabili) se sarà quindi capace di espandere i propri ideali democratici ridefinendo concetti di unità geografica resi ormai inutili dalla Globalizzazione.

(Matteo Salvetti,27 anni, socialista, laureato in Sviluppo e cooperazione locale ed internazionale presso la facoltà di Scienze politiche delll’Università di Bologna, collabora dal dicembre 2007 con la nostra “infoSocialista”)

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