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Walter Micheli
10.6.2008

INFO SOCIALISTA 10 giugno 2008
a cura di n.zoller@trentinoweb.it
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Quindicinale - Anno 5°



o UN LIBRO, per cominciare:“IL SOCIALISMO NELLA STORIA DEL TRENTINO” di Walter Micheli
o MICHELI: l'approdo al socialismo riformista e liberale
o GIACOMO MATTEOTTI, 10 giugno – la storia e l’avvenire
o GOVERNARE L’IMMIGRAZIONE SENZA RONDE SI PUÓ


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UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Walter Micheli
o Titolo:“IL SOCIALISMO NELLA STORIA DEL TRENTINO”
o Il Margine ed.,Trento, 2006, 340 pagine,

IN MORTE DI WALTER MICHELI RIPROPONIAMO IL COMMENTO ALLA SUA OPERA CON LE PAROLE DI MARCO BATTISTI RIPORTATO DA 'INFOSOCIALISTA' DEL 25 DICEMBRE 2006

“Mi sono sentito offeso per tanti anni a causa delle diffamazioni. Il PSI non era Ali Babà con intorno i quaranta ladroni”- Giuliano Amato, 7 dicembre 2006, Corriere della Sera, p.13

di Marco Battisti
“Il socialismo nella storia del Trentino” di Walter Micheli, è un gran bel libro che ricostruisce con forza e orgoglio la storia di cento anni di impegno politico dei socialisti trentini, la natura forte del loro messaggio, il contributo generoso per la crescita della nostra terra e della democrazia italiana. Si restituisce l’onore ai socialisti e, colmando un vuoto di storia e memoria, si offrono alla comunità trentina idee e strumenti per costruire gli scenari del futuro.
Alla presentazione del libro, in una sala colma all’inverosimile, si sentiva la complicità di sguardi ed emozioni tra i tanti socialisti presenti, che da lungo tempo non si incontravano, e tra questi e molti antichi avversari o alleati politici. In questo clima emotivamente intenso, ad un certo punto, Ulisse Marzatico ha chiesto, a sé e agli altri, come mai questa grande storia dei socialisti si sia potu-ta improvvisamente dissolvere, una dozzina di anni fa. Alla sparizione dei dinosauri dalla terra si dà una spiegazione scientifica, ma perché i socialisti, ancora oggi presenti e protagonisti in tutti i paesi europei, in Italia non ci sono più? Nel libro di Micheli questa questione non viene affrontata, si accenna in più occasioni alla “questione morale” e nell’introduzione del libro, Renato Ballardini parla della “crisi degenerativa causata dal craxismo”. In questi anni molti studiosi, oltre a protagonisti politici sia socialisti che riformisti postcomunisti hanno scritto su quel periodo storico e la sostanza della questione è venuta alla luce.
Si può dire che storia del partito socialista dal 1945 al 2003, è coincisa con lo sforzo della società italiana di liberarsi dai vincoli imposti dall’accordo tra le potenze vincitrici della guerra che sanciva la divisione del mondo in blocchi: quello americano e quello sovietico. In questo accordo, fu deciso di non dividere territorialmente l’Italia in due parti, come era avvenuto in Germania, ma di dividere tacitamente il paese in due aree di influenza politica, una tutelata dalla Democrazia cristiana e l’altra dal Partito comunista. La conseguenza è stata la nascita una democrazia bloccata, impossibilitata ad organizzarsi secondo le regole dell’alternanza di governo: la Dc obbligata a governare e il Pci ob-bligato all’opposizione. Da qui ha origine, in un paese in cui lo scontro politico interno è parte di uno scontro di livello mondiale, la questione della spesa enorme per finanziare la lotta politica, i flussi di denaro di provenienza estera per gli uni e per gli altri, il ruolo pressante e continuo dei servizi segreti sulle vicende italiane. Da allora ha preso corpo il fatto che l’attività politica fosse finanziata in nero, quindi in violazione della legge.
Dal finire degli anni ’50, il Psi inizia una battaglia su due fronti, da un lato sganciarsi dall’egemonia e dalla pressione del Pci e, dall’altro, rafforzare sempre più il proprio ruolo di alleato e allo stesso tempo di competitore con la Dc per la guida del paese. Nasce il centro sinistra di Nenni e Lombardi che come, ricorda Ballardini, portò a termine importanti riforme. Ma ancora di maggiore rilievo è stato il ruolo dei socialisti alla fine degli anni ‘70 e per tutto il decennio successivo quando seppero dare una sterzata al quadro politico italiano, uscendo da una posizione difensiva che relegava il Psi alla marginalità e proponendo un disegno di modernizzazione complessiva del paese che, come si vide, il paese mostrava di condividere.
La sfida era il superamento del rapporto consociativo tra Dc-Pci, nelle sue varianti di governi di unità nazionale e di compromesso storico, che metteva una camicia di forza alla evoluzione politica del paese e lo poneva in forte ritardo rispetto a quanto accadeva nel mondo. Occorreva rompere queste logiche e portare l’Italia alla normalità, cioè in sintonia con quanto accadeva nei paesi euro-pei dove esisteva un rapporto dialettico tra uno schieramento socialista e uno moderato o conserva-tore. Lo scontro politico è stato allora furibondo tra grandi personalità politiche, non mezze cartuc-ce. Berlinguer arrivò a sostenere che il Psi era una minaccia per la democrazia; De Mita sosteneva di preferire un accordo sottobanco tra Dc e Pci, piuttosto che l’ ipotesi di una alternanza tra modera-ti e riformisti alla guida del paese.
Quello che mancò è stata la capacità di costruire un’intesa tra Psi e Pci. Se, ad esempio, Berlinguer avesse dato il via libera alla Cgil di Lama per l’accordo sulla scala mobile, che gli altri sindacati avevano sottoscritto, si sarebbero create le premesse per una evoluzione verso l’unità della sinistra riformista; e il Pci avrebbe evitato una disfatta elettorale clamorosa. Riferendosi a quel periodo, nel suo libro “Per passione”, Piero Fassino scrive: “Sono anni molto difficili. Il Pci è su un binario morto: l’esaurimento della strategia del compromesso storico non ha portato all’elaborazione di una al-ternativa. In fondo, la tragica fine risparmia a Berlinguer l’impatto con la crisi della sua strategia politica”.
Nei governi a guida socialista, senza nascondere mancanze, errori gravi e buoni propositi andati per aria, il bilancio è positivo. In particolare il ruolo esercitato sulla scena europea e internazionale, la forte coscienza dell’autonomia e dell’interesse nazionale, l’autorevolezza acquisita. Non a caso, come emerge dalle pagine di Micheli, i migliori risultati dei socialisti trentini coincidono con quel periodo.
Ma perché allora il Psi si è dissolto? C’è stato un tempo, nel massimo splendore di Manipulite, che solo avere in tasca la tessera socialista poteva far configurare l’ipotesi di reato. Entra in scena una valanga mediatico-giudiziaria di tale intensità e con un tale effetto sull’opinione pubblica da far pensare che non sia stata estranea una volontà politica di distruggere un’intera classe dirigente. Non vi è dubbio, oggi, che prevalse uno spirito giustizialista, emersero spinte antipartitiche e contro la politica in generale, populismi e appelli alla piazza su cui alcuni costruirono la loro fortuna politica ed altri, invece, pensando anche loro di trarne profitto, finirono per perdere la metà del loro elettora-to storico.
Proviamo a pensare cosa sarebbe successo, nel clima della giustizia mediatica di allora, se si fosse verificato che un imprenditore accusa il vicesindaco di Trento di avergli promesso, e poi non man-tenuto, il cambio di destinazione di un’area da agricola a industriale. Avremmo assistito a un gran tintinnar di manette, carcerazioni preventive, chiamate in correo, pubblici ministeri indaffarati a ri-lasciare interviste, articoli a nove colonne e folle a lanciar monetine sul malcapitato di palazzo Thun. La sua immagine politica ne sarebbe uscita per sempre distrutta, prima ancora di un eventuale processo.
In effetti, l’intero sistema politico italiano era finanziato in modo illecito, e questo era il suo tallone d’Achille perché lo rendeva di fatto, in ogni momento, perseguibile. Tale situazione di illegalità è esplosa quando è caduto il muro di Berlino: veniva meno il pericolo comunista e i cittadini chiede-vano un cambiamento politico profondo; in tutta Europa venivano sconfitti i partiti di governo. In una situazione degenerata, Craxi, senza sottrarsi alle sue personali responsabilità, denunciava il si-stema del finanziamento illecito chiamando in causa tutti, ma le sue parole sarebbero cadute in un ambiguo, assordante silenzio generale.
A quindici anni di distanza, si possono tirare le somme di Manipulite ed è evidente che i risultati ottenuti sul piano politico -eliminare con la distruzione dell’immagine un’intera classe politica- superano di mille miglia i risultati ottenuti sul piano giudiziario. L’accanimento giustizialista nei con-fronti dei socialisti è stato particolarmente intenso: comune per comune, sindaco o assessore, mirando a tutti quelli che rappresentavano il tessuto connettivo di una comunità politica di milioni di italiani. A conclusione, la stragrande maggioranza di queste persone è uscito indenne dall’indagini e quella condannata è un quota marginale. Una ricostruzione storica di quelle vicende, anche riguardo il Trentino, è importante per dimostrare che le accuse sommarie non corrispondevano alla realtà e per riconoscere quello che il socialisti hanno dato e potranno dare al loro paese e alla loro terra. L’onore ai socialisti ed a Craxi viene ancora da Fassino che scrive: “Craxi è uomo profondamente di sinistra. Autonomista, anche all’epoca del Fronte popolare, ha uno spiccato senso dell’identità socialista rispetto all’area maggioritaria della sinistra italiana, quella comunista. Certo, Craxi non esita a fare della competizione a sinistra, puntando ad accrescere le difficoltà del Pci, inducendoci a reagire nel modo peggiore, con un più alto livello di conflittualità. Ma resta il fatto che il Pci non appare capace, negli anni ’80, di affrontare il tema della modernizzazione dell’Italia, spingendo così ceti innovatori e produttivi verso chi, come Craxi, dimostra di comprenderli”.
MARCO BATTISTI

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La testimonianza di Walter Micheli: “l’unico porto che la sinistra può trovare aperto in Italia è quello apprestato dal socialismo riformista e liberale”.


“Cristiano senza chiesa, socialista senza partito”. Anche negli anni degli ideologismi forti, Walter Micheli ci ripeteva sovente questa autodefinizione dello scrittore Ignazio Silone: per mitigare gli eccessi del partitismo oltre che i rigori dottrinari di ogni gerarchia. Ma egli restò sempre cristiano nell’intimo e socialista esplicito per vocazione. Nell’ora dell’addio, la sua “scelta di vita” politica si evidenzia particolarmente, accanto a tutte le altre rilevanti azioni del nostro maestro e compagno. Egli fu sopra tutto un socialista leale, legato al suo popolo e alla sua terra con un respiro internazionale: un socialdemocratico mitteleuropeo, che cercava di coniugare “giustizia e libertà”, secondo gli insegnamenti di Carlo Rosselli. E’ stato scritto che chi si impegna molto col cuore nelle cose che dice e che fa, può essere più esposto di altri all’affaticamento fatale. Si', Walter aveva tanto creduto alla prospettiva socialista per il Trentino e per l’Italia, e negli anni ’80 aveva dato il meglio di sé come lungimirante amministratore dell’autonomia trentina. Poi è scesa su di noi la “slavina” che nei primi anni ’90 “travolse il Psi, cent’anni dopo la sua fondazione”, come Micheli ricorda nella sua opera “Il socialismo nella storia del Trentino”. E al di là dei risultati che l’azione personale di ognuno può portare al miglioramento delle condizioni generali, questa caduta della nostra storia collettiva ha pesato e continua a pesare oltre che nella mente anche nei sentimenti e sul cuore di noi tutti. Walter che ha fatto moltissimo per la sua terra e per la sua causa politica, ne ha sofferto di più, perché credeva e lavorava più di tutti. Soffriva per un movimento politico “che ha avuto ragione, ma non ha fatto la storia”, travolto dai propri limiti e dall’inclemenza degli avversari. Ma Micheli ci lascia – proprio con le ultime parole del suo libro appena citato – la sua testimonianza di speranza con queste parole: “l’unico porto che la sinistra può trovare aperto in Italia è quello apprestato dal socialismo riformista e liberale”. Ciao, Walter: “è bello dopo il morire vivere ancora”.

Nicola Zoller



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MARTEDI’ 10 GIUGNO 2008 alle ore 14 a COMASINE DI PEIO per
GIACOMO MATTEOTTI – la storia e l’avvenire

Anche quest’anno a Comasine di Peio – terra natale della famiglia Matteotti – viene ricordato l’anniversario della morte del deputato socialista Giacomo Matteotti, con il sindaco di Peio Angelo Dalpez e i rappresentanti del neo costituito Circolo culturale ricreativo “Giacomo Matteotti” di Comasine. L’appuntamento per l’apposizione della corona dei Socialisti trentini alla casa avita di Matteotti alle ore 14 martedì 10 giugno 2008.

IL RICORDO
Ricordiamo che era il 10 giugno 1924 quando il parlamentare socialista veniva rapito da cinque sicari fascisti e poi brutalmente assassinato. Stava recandosi alla Camera, dove poco tempo prima aveva tenuto un circostanziato discorso contestando i risultati delle elezioni, falsati dai brogli e dalle violenze del governo mussoliniano.
Si concludeva cosi tragicamente la vita operosa di Giacomo Matteotti, dirigente instancabile, fonda-tore di camere del lavoro, cooperative, circoli e biblioteche popolari. Dopo essere stato amministra-tore comunale e sindaco – impegnandosi secondo la migliore tradizione riformista a sviluppare ser-vizi popolari, scuole, asili, vie di comunicazione tranviarie – venne eletto deputato a 34 anni nel 1919. Egli contrastò subito il primo squadrismo fascista. Si adoperò tanto attivamente in questo senso che Mussolini, assunto il potere, volle “far tacere quella voce” libera e giusta.
UN RINGRAZIAMENTO ALLA PROVINCIA DI TRENTO
Da allora la figura di Matteotti è diventata per tutti il simbolo della lotta per la libertà. Anche la no-stra Provincia ha inserito nel suo “Progetto memoria” una ricerca per valorizzare presso le gio-vani generazioni la figura del parlamentare di origini trentine: proprio nella primavera di quest’anno 2008 presso il Museo storico in Trento, grazie all’intervento del presidente Dellai e della assessore alla cultura Margherita Cogo è stata organizzata una bella “mostra documentaria e fotografica” de-dicata a Matteotti, con l’alto patronato del presidente della Repubblica: è stata un’iniziativa che fa onore alla nostra terra, alle nostre istituzioni e a chi ha tanto collaborato a questa opera, a partire dal prof. Caretti, dell’associazione nazionale Sandro Pertini, e dal prof. Ferrandi, direttore del Museo stotico trentino.
LA STORIA E L’AVVENIRE
Mi sia permesso un riferimento all’attualità. C’è la storia. Ma c’è anche l’avvenire. Giacomo Matteotti, quando tutto cadeva, si opponeva con coraggio alla furia della dittatura irrompente: nella nostra Regione alle elezioni del 1924 il suo Partito Socialista ottenne 4.624 voti. Troppo pochi per fare un eletto in Trentino-Alto Adige, ma infinitamente significativi di una resistenza politica e cul-turale che avrebbe poi portato dopo il fascismo alla rinascita della forza e della prospettiva sociali-sta, avendo alle spalle quella semina ideale e programmatica di organizzazioni e personalità come Matteotti, un uomo che è diventato per tutti l’ideale “apostolo della libertà”. Ecco perché anche noi , uomini e donne del nuovo secolo, non possiamo perdere la speranza di una rinascita che – collega-ta alle prospettive d’avanguardia che da sempre si pone la socialdemocrazia del nostro conti-nente - possa essere utile alla nostra terra alpina e al nostro Paese: perché tante e valorose energie della nostra storia hanno continuato a coltivare un “ideale” che resta molto più duraturo di tanti di-scorsi occasionali e di tattiche e di formazioni partitiche transitorie. Questo ideale – quello incarna-to al massimo grado da Giacomo Matteotti - da alla politica una dimensione più umana e più etica, aiuta a conservare un animo libero e solidale, per guardare al futuro con fiducia. (n.z.)


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GOVERNARE L’IMMIGRAZIONE SENZA RONDE SI PUÓ
di Matteo Salvetti

pubblicato dal TRENTINO nella rubrica di Franco de Battaglia



Il settimanale svedese “Fokus” ha recentemente pubblicato una classifica dei comuni che meglio hanno saputo integrare la popolazione immigrata. Tra le 290 città esaminate ha vinto Gnösjö, un centro di diecimila anime, un quarto delle quali di origine straniera. Questo successo è derivato da una politica migratoria che non ha cercato unicamente di favorire l’integrazione attraverso il lavoro ma che ha provveduto a creare un assetto urbano favorevole all’incontro tra diverse culture. Leggo su “La Repubblica” che, qualche chilometro a sud di Gnösjö, la giunta comunale di Oppeano (VR) guidata da un sindaco leghista, ha ritenuto di dover abbattere un edificio usato dai mussulmani come luogo di preghiera per realizzare una piazza dedicata-non certo casualmente- alla memoria di Oriana Fallaci. Come a dire: questo spazio è nostro e voi seguaci di Maometto non potrete mai appropriarvene. Il tutto peraltro in perfetta coerenza con il motto delle camicie verdi “Padania cristiana, mai mussulmana”.
Purtroppo anche in Trentino, le polemiche relative all’assegnazione degli alloggi popolari, che hanno visto il Presidente Dellai strizzare l’occhio a certe posizioni del Carroccio, ci fanno capire come l’immigrato, anche quello regolare, sia visto dalle autorità pubbliche, come un elemento di disturbo per la coesione sociale. Questo timore di fatto limita notevolmente la possibilità di inserimento dello stesso nel tessuto urbano a danno di ogni sforzo d’integrazione. Come sempre quando si parla di immigrazione il dibattito politico si appiattisce su slogan fatti apposta per conquistare qualche elettore. Il problema meriterebbe invece una lettura più attenta e soluzioni più complesse di quelle gridate “a furor di popolo” dalla Lega. Gli studi dei sociologi della scuola di Chicago ci insegnano ad esempio il forte legame esistente tra ondate migratorie e struttura urbana: l’obbiettivo di un qualsiasi programma di governo del fenomeno dovrebbe essere innanzitutto quello di evitare il riproporsi dei famosi quartieri ghetto delle “China town” e delle “Little Italy” americane o del “Kreuzberg” berlinese. Si dovrebbe inoltre cercare di evitare una esasperazione della lotta tra poveri per l’affermazione del diritto alla casa dando vita ad un programma di edilizia popolare più ambizioso. In una Vienna scossa dalla perdita dell’Impero e dalla sconfitta nella Prima guerra mondiale quattordici anni di governo socialdemocratico diedero vita ad una serie impressionante di politiche sociali e assistenziali che portarono alla realizzazione di complessi residenziali circondati da aree verdi e zone ricreative (il Karl Hehn disponeva di 1600 appartamenti!): perché non tentare questa strada anche in Trentino? Di fronte all’avvento di una società sempre più multiculturale bisognerà poi pensare ad una nuova definizione del concetto stesso di comunità che, per garantire pace e coesione sociale, dovrà necessariamente essere fondato sui diritti individuali ed intoccabili della persona e non su delle presunte identità nazionali o etniche: categorie superate che già troppi danni e morti hanno inflitto all’umanità intera.
MATTEO SALVETTI







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