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Riccardo Nencini per il PS
10.7.2008

INFO SOCIALISTA 10 luglio 2008
a cura di n.zoller@trentinoweb.it
- per il coordinamento del PARTITO SOCIALISTA in Trentino-Alto Adige
collegato all'azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra -
tel. 338-2422592 - fax 0461-944880 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it
www.partitosocialistatrentino.it - www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno 5°

o UN SAGGIO, per cominciare: QUARANT'ANNI FA LA PRIMAVERA DI PRAGA di Jirì Havel
o RICCARDO NENCINI NUOVO SEGRETARIO DEL PARTITO SOCIALISTA - il documento congressuale
o GIUSTIZIA: BENE VELTRONI SU DI PIETRO MA ORA SERVE PIU' CORAGGIO RIFORMISTA
o Dibattito: I MUTAMENTI CULTURALI PORTATI IN SUPERFICIE DAL SESSANTOTTO


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UN LIBRO, per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Jirì Havel
o Titolo: QUARANT'ANNI FA LA PRIMAVERA DI PRAGA
o Mondoperaio, n.3 - 2008,www.mondoperaio.com

QUARANT'ANNI FA LA PRIMAVERA DI PRAGA
di Jirì Havel

Nel 1968 avevo undici anni. Ero abbastanza grande per comprendere che si erano verificati alcuni cambiamenti. Ma troppo giovane per comprendere quanto profondamente la mia vita fosse stata predeterminata da ciò. La Primavera di Praga è durata un periodo relativamente breve. In senso stretto ha avuto inizio in gennaio con la riunione della Commissione centrale del Partito comunista cecoslovacco ed è terminata in agosto con l’invasione delle truppe sovietiche. Ma di fatto non è stata così breve. Nella Primavera di Praga si concentra la storia del Dopoguerra del Paese e il suo amaro destino fino al 1989. Una parte del nostro fato raggiungeva il suo culmine, l’altra cominciava...
LEGGI IL SAGGIO COMPLETO SU www.mondoperaio.com


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IL CONGRESSO NAZIONALE DI MONTECATINI SVOLTOSI DAL 4 AL 6 LUGLIO 2008 HA ELETTO ALL'UNANIMITA' NUOVO SEGRETARIO RICCARDO NENCINI, 49 ANNI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA.
Al termine del congresso è stato approvato questo documento politico finale

Il Primo Congresso Nazionale del Partito Socialista riafferma le ragioni storiche e politiche dell’azione dei socialisti italiani. Il Partito Socialista nasce dalla convergenza di differenti tendenze culturali e politiche, ispirate al pensiero socialdemocratico, laico e liberalsocialista, sempre riconducibili alla tradizione democratica della sinistra riformista ed europea. Il socialismo italiano, nella continuità dei propri valori e princìpi fondanti, difende e promuove le libertà, la giustizia sociale, le pari opportunità, la pace e la sicurezza internazionale, lo sviluppo sostenibile, l’Europa come nuova dimensione dell’azione politica. Aggiorneremo i nostri programmi per tenere conto del mutamento sociale e tecnologico spinto dalla globalizzazione e delle sfide della modernità. I meriti e i bisogni, i diritti e i doveri devono trovare la loro espressione in una società aperta e plurale, libera e solidale.

Il nostro Partito, per svolgere la sua funzione, consapevole delle presenti difficoltà, riafferma con fermezza:
- la collocazione nella famiglia del socialismo europeo e internazionale;
- la rappresentanza degli interessi sociali deboli in una politica di sviluppo e modernizzazione della società;
- la sua autonomia politica e organizzativa, condizione necessaria per sviluppare il proprio progetto e la propria iniziativa;
- le garanzie di pluralismo e democrazia nella sua vita interna, essenziali anche per attuare con trasparenza ed efficacia il valore dell’unità del Partito.

La conoscenza della realtà, la comprensione del presente, l’individuazione di proposte e campagne da condurre nella società italiana rappresentano l’essenza di una nuova iniziativa socialista. Per superare la crisi di fiducia dei cittadini verso la politica, occorre che i partiti tornino a rappresentare interessi e ideali, e noi ci impegnamo a farlo, in particolare guardando al mondo del lavoro, dell’istruzione e della ricerca, della cultura, della nuova società multiculturale. Vogliamo costruire un partito aperto e partecipato, con rappresentanza equilibrata tra i generi, capace di esprimere un’efficace politica nazionale e al tempo stesso di dotarsi di una forma federale che meglio rappresenti le istanze delle città e delle regioni, ed una struttura federativa che consenta l’espressione delle diversità e dei movimenti. Vogliamo contribuire a governare il cambiamento e ad offrire risposte e una proposta nuova per l’Italia. Convinti che ancora oggi la nostra società e la nostra democrazia abbia bisogno dei socialisti, e che anche in Italia come in Europa una sinistra credibile per la gente e alternativa alla destra non possa che essere socialista.

Il Partito non può rinchiudersi in sè stesso, deve aprirsi al mondo, parlare con tutti, confrontandosi in primo luogo con le forze della sinistra riformista, costruire alleanze per sconfiggere la crisi e cambiare il Paese. La crisi che noi denunciamo è istituzionale, economica e morale, essa dipende in primo luogo dalla debolezza della politica, che ha deluso e delude aspettative e necessità. Essa è responsabilità dei governi di centrodestra, ma anche di una sinistra che non ha saputo dimostrarsi affidabile e all’altezza delle sue promesse. Non si è creato un efficace bipolarismo, e il bipartitismo forzato di oggi aggrava la situazione. Per questo occorre costruire una sinistra di governo che oggi non c’è, e che non è riducibile alla politica del Partito Democratico, per le sue ambiguità e la sua incerta collocazione internazionale. Così come abbiamo affermato la nostra autonomia nelle ultime elezioni, la riaffermiamo oggi come condizione dell’essere del nuovo partito.
Questo è il nostro ruolo da sempre: il Partito Socialista vive solo se ha grandi obiettivi, muore se costretto alla mediocrità della gestione senza progetto.

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GIUSTIZIA: BENE VELTRONI SU DI PIETRO MA ORA SERVE PIU' CORAGGIO RIFORMISTA

10/07/2008 - Dopo l'intervista di Veltroni a Mentana andata in onda ieri sera, il Segretario del Partito Socialista commenta oggi positivamente le parole del leader del PD: «La presa di distanza di Walter Veltroni nei confronti di Di Pietro è un buon inizio - afferma Riccardo Nencini-. Tra la piazza Navona dell'Italia dei Valori e l'Italia dei riformisti corre un abisso in termini di cultura e di azione politica».
«Veltroni – prosegue Nencini - ha compiuto un passo importante, quel passo che il congresso socialista gli aveva chiesto a chiare lettere rimproverandogli, anche con toni al di fuori delle righe, di aver preferito imbarcare i giustizialisti anziché favorire la costituzione di un blocco riformista che si ponesse come seria alternativa di governo al centrodestra.
Ora le carte sono scoperte ed il quadro è più chiaro: dopo piazza Navona Di Pietro miete consensi e Berlusconi "vola" nei sondaggi, con i riformisti che rischiano di rimanere travolti da queste due facce del populismo.
«Adesso – conclude Nencini - serve più coraggio riformista nell'azione politica.
Su quel terreno potremo incontrarci e potremo ritrovare il consenso di tanti italiani desiderosi di costruire un'alternativa sia all'opposizione becera e giustizialista sia ad un Governo che altrimenti, e non solo per meriti suoi, rischia di debordare nei consensi».

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Dibattito
I MUTAMENTI CULTURALI PORTATI IN SUPERFICIE DAL SESSANTOTTO
di Andrea Millefiorini

(Mondoperaio, maggio-giugno 2008)

Chi di noi, oggi, si sognerebbe di mettere in discussione principi ormai talmente ovvi da essere divenuti impliciti nella convivenza civile e familiare, e che pure tali non erano affatto prima del Sessantotto e, più in generale, degli anni Sessanta e Settanta? Pensiamo a quante persone non hanno potuto realizzare nella vita gli intenti che si ripromettevano, non per ragioni di congiuntura economica (come invece accade oggi), ma per il divieto opposto dalla propria famiglia. C’erano professioni considerate riprovevoli dalla “buona borghesia”, e che pure erano l’aspirazione di molti giovani: ad esempio fare l’insegnante di educazione fisica o dedicarsi al professionismo sportivo, lavorare come restauratore, come allevatore, vivere in mezzo alla campagna, etc.

Non parliamo poi delle scelte affettive: non era stato ancora definitivamente superato l’implicito divieto a portare all’altare qualcuno che non facesse parte della propria classe sociale o di una superiore. Esisteva insomma anche in questa sfera un regime di libertà vigilata, che non raramente imponeva ipocrisie o finte apparenze, fonti principali di quel perbenismo di maniera che ricopriva spesso di una coltre ipocrita e falsa il mondo delle relazioni sociali.
Le barriere di classe, fino alla fine degli anni Sessanta, avevano resistito come autopercezione e autorappresentazione collettiva e individuale. Fu anche in reazione a ciò che i giovani avvertirono il bisogno di scendere nell’arena politica: per rompere delle differenze che, comunque, erano ancora molto bene avvertite e percepite.
È dunque proprio sul piano delle differenziazioni e delle distanze di classe che riscontriamo il principale divario tra prima società di massa (prima metà del XX secolo) e seconda società di massa (seconda metà del XX secolo). Se nella prima le barriere di classe non erano ancora scomparse, con la seconda esse verranno attenuate e ridotte a tal punto da non essere quasi più percepibili nella popolazione. E ciò – ovviamente – non sul piano della distribuzione del reddito e delle disponibilità economiche, che continuano a marcare distanze a volte abissali, quanto su quello del modo di autorappresentarsi e di porsi di ciascuno nei confronti degli altri, nel modo di parlare, di vestire, di comunicare con il corpo e con i gesti. La “distanza dal ruolo”, fenomeno centrale nel processo di individualizzazione nella seconda metà del Novecento, viene cioè vissuta dai giovani anche e soprattutto come distanza da – e come non appartenenza a – una classe sociale, un ceto o una categoria che tenderebbero a limitare l’individuo, a relegarlo entro un confine o uno steccato.

Ciò che è interessante notare è il fatto che a ciò si è arrivati non tanto o non solo grazie alla politicizzazione del sociale, tipica della prima società di massa, quanto soprattutto grazie all’enorme aumento delle possibilità di spesa e di consumo per tutta la popolazione, fenomeno che ha investito la seconda metà del Novecento in misura ancora maggiore di quanto non fosse avvenuto nelle fasi dell’industrializzazione precedenti. Queste mutate condizioni strutturali della società del secondo Novecento hanno contribuito al processo di superamento delle distanze e delle differenziazioni culturali di classe proprio in quanto accrescevano ancor più quella diffusa e perdurante passione individualizzante, quel desiderio di individualizzazione che è a sua volta riuscito a liberare la coscienza di milioni di persone dalle catene culturali delle proprie appartenenze di classe e di luogo.
L’emergere della cultura interclassista negli anni Sessanta costituisce quindi uno dei più importanti fattori di mutamento apportato alla storia dell’occidente dal processo di individualizzazione di massa, e forse il più importante apportato dalla società di massa tout-court. È possibile osservarne gli effetti, ad esempio, studiando come sono mutati i modi di relazionarsi tra soggetti di grado diverso all’interno dei luoghi di lavoro. Il tono informale e colloquiale che si è instaurato tra dirigenti e impiegati sarebbe stato impensabile sino a 30-40 anni fa.

L’omologazione tra i codici comunicativi delle classi sociali nella seconda società di massa è stato il risultato dell’incontro di una duplice tendenza: quella, cominciata già con la prima società di massa, all’affermazione e alla rivendicazione della piena legittimità e della piena “cittadinanza” del linguaggio e dei modi popolari da parte delle classi proletarie che avevano invaso le città europee; e quella, partita invece solo nella seconda metà del Novecento, per la quale il linguaggio giovanilistico di tutti i ceti sociali fece suoi molti elementi del modo di comunicare di tipo popolare in quanto ritenuti più spontanei, immediati e autentici. Fu cioè solo con la rivoluzione culturale degli anni Sessanta che non soltanto il linguaggio e i codici comunicativi popolari e volgari affermarono la propria piena legittimità e dignità al cospetto dei codici delle altre classi (fenomeno iniziato già ben prima del Sessantotto) ma che quel linguaggio e quel codice furono addirittura fatti propri anche dai giovani delle altre classi sociali. Ciò avvenne essenzialmente a partire dal Sessantotto. Oggi che quei giovani sono diventati adulti, avendo però mantenuto i modi di comunicare introdotti in quel periodo, l’informalità e l’interclassismo dei modi di comunicare sono quindi un aspetto definitivamente acquisito e assimilato nella cultura contemporanea.
Il Sessantotto costituì, sotto questo punto di vista, l’esplodere e il chiarificarsi definitivo di un conflitto che da tempo covava nella cultura occidentale. Il conflitto tra residui del vecchio modello individualistico borghese, ancora classista e autoritario, e nuovo modello individualistico di massa, antiautoritario e anticlassista.

Con il Sessantotto decollò quindi definitivamente il processo di progressivo rimescolamento, di progressiva omologazione dei modi di agire, di pensare e di sentire tra la popolazione che fu comunque, a guardarlo oggi a processo concluso, un risultato positivo dell’evoluzione culturale della civiltà occidentale dell’ultimo secolo e mezzo.
L’eguaglianza tra gli uomini ha fatto più passi avanti in questo modo che non con i piani quinquennali, i gosplan, o altre invenzioni dell’ideologia comunista.
Più articolato e complesso è invece il discorso per quanto riguarda la sfera educativa. Qui è possibile individuare alcuni elementi di distorsione, iniziati appunto con certe retoriche dell’ideologia e del linguaggio giovanilistico del Sessantotto e dei successivi anni Settanta, distorsioni che, se sommate all’avanzamento del processo di individualizzazione indotto e sollecitato dalla società dei consumi, provocano ai giorni nostri vere e proprie degenerazioni. Dal bullismo alle auto pirata, al degrado di certi comportamenti giovanili, pratiche falsamente “liberatrici” come imbrattare muri o fare gli hackers, o farsi di sostanze le più disparate, il calo del rispetto dell’Altro, la vera e propria perdita del senso dell’Altro, ebbene – come dicevamo – su tutto questo terreno è ormai evidente che occorre un serio ripensamento, una seria “correzione di rotta” dei modelli educativi e pedagogici. Certo, da quando – negli anni Settanta – il Professor Spock sentenziava che ai bambini non si può mai opporre un “no”, ad oggi, di acqua ne è passata, se è vero che uno dei best-seller della saggistica degli ultimi anni in Italia è stato il bel volume di Asha Phillips, dal titolo “I no che aiutano a crescere”. Ma, senza dover scomodare le proposte di un Sarkozy – a volte più propagandistiche che seriamente propositive – sembra comunque giunto il momento di riportare il principio e il valore della responsabilizzazione individuale come uno dei cardini fondamentali di qualunque modello di educazione morale dei giovani.

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