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Solzenicyn, il testimone.
15.8.2008

INFO SOCIALISTA 15 agosto 2008
a cura di n.zoller@trentinoweb.it
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Quindicinale - Anno 5°

o Solzenicyn, il testimone.
o Etica e politica: dopo la votazione in Parlamento i laici, gli integralisti e i fuggitivi.
o I SOCIALISTI PER L'ASSEMBLEA COSTITUENTE.
o LA SCIENZA E LA NATURA


Solzenicyn, il testimone.
di Alessandro Zella

Trentaticinque anni fa, in Occidente usciva un'opera letteraria, Arcipelago Gulag, di Alexandr Solzenicyn destinata a scuotere le coscienze intorpidite del mondo occidentale e a scatenare più di una polemica. Era il 1973 e il mondo occidentale si cullava ancora nell’utopia sessantottina. Molti scritti e testimonianze erano apparsi sulla vera storia dell'Unione Sovietica e del suo regime di paura, i molti testimoni furono immediatamente accusati di fascismo, non si voleva accettare la vera realtà del comunismo e dello stalinismo. Accettare questo non voleva dir altro che giungere ad una equazione dettata dal buon senso: se non si accetta il fascismo, il nazismo, non si può accettare il comunismo e lo stalinismo. Le prime edizioni del libro uscirono in Francia , che seppe udire e esprimere gratitudine. In Italia invece un' abbondanza di calunnie, menzogne e disinformazione che si rovesciarono contro lo scrittore anche quando già egli era stato espulso dal suo paese. Nel resto del mondo occidentale, l’evento assunse grande rilevanza e indusse molti intellettuali a mutare opinione sul comunismo. In Italia non fu così. Si scatenò, oltretutto, una vasta offensiva di una parte della cultura italiana e fra i più virulenti furono Umberto Eco, Alberto Moravia e Carlo Cassola che lo definirono un "romanziere da strapazzo". I Comunisti Italiani si ritenevano “diversi”. Molti di loro (alcuni, anche se pochi, in buona fede) sostenevano che il comunismo potesse essere riformabile. I fatti della storia hanno dimostrato il contrario. La "perestroika" che Michail Gorbaciov tentò di introdurre fallì per la semplice ragione che il comunismo non può essere div erso da come è nato ed è stato applicato. A 19 anni dal crollo del muro di Berlino ancora in una parte della sinistra italiana persevera nel coltivare una certa ambiguità sul giudizio del comunismo e dello stalinismo. Non si vuole accettare il fatto che il comunismo ha prodotto morte e distruzione, terrore, con un sistema ininterrotto di deportazione, di prigionia e sterminio alla pari del nazismo.
Alexandr Solzenicyn, la cui produzione letteraria fu ricchissima (oltre al già citato romanza, giova ricordare Una giornata di Ivan Denisovic e Reparto C), ebbe il merito di dare al mondo la testimonianza sulla sorte toccata a milioni tra uomini e donne , anche comunisti italiani, che negli anni bui dei regimi sovietici trovarono la persecuzione, la deportazione e la morte. Arcipelago Gulag è un atto d’accusa verso tutte le nefandezze dei regimi totalitari e nella fattispecie la raffigurazione reale, sconvolgente dell'inferno dei gulag sovietici.
Oggi onoriamo la figura di Alexandr Solzenicyn in nome della Libertà di tutti i popoli che vogliono essere e restare liberi.

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Etica e politica: dopo la votazione in Parlamento i laici, gli integralisti e i fuggitivi.

di Mauro Del Bue

Oggi, e le votazioni in Parlamento sul caso Englaro lo dimostrano, i partiti stanno diventando, quasi tutti per la verità, esclusivamente contenitori elettorali. Partono dal presupposto che ciò che conta è aggregare consensi, non importa come, e competere per la guida del Paese. Questo è certo facilitato da una legge elettorale che unisce sbarramento e premio di maggioranza, cosa che rappresenta un‘anomalia italiana, l’ennesima. Ma non c’è dubbio che l’idea che i partiti non debbano più rappresentare visioni di società è passata come un approdo di modernità e di rinnovamento. In fondo, si dice, sono morte le ideologie, e allora perché dividerci ancora con parametri del passato? E qui si commette un grande errore, un errore di confusione che purtroppo ci viene continuamente propinato. Sono morte le ideologie, ma non le idee, e neppure le identità. Oggi è giusto che non esistano più partiti ideologici (a parte il fatto che il Pdci che vuole la Costituente comunista e usa il centralismo democratico e si vanta di ispirarsi al marxismo-leninismo, nonchè l’ultima versione di Rifondazione con il nuovo segretario Ferrero che non vuole, contrariamente a Vendola e a Bertinotti, superare il comunismo, lo sono ancora, eccome). Ma il dramma è che sono stati formati, e questo solo in Italia, nell’epoca post-ideologica, partiti senza identità. Solo in Italia la fine delle grandi contrapposizioni ideologiche ha segnato anche la fine delle identità politiche. Il Popolo delle libertà, sul conflitto di attribuzioni con la Cassazione, che aveva accolto il ricorso avanzato dal padre di Eluana, ha votato in larga parte a favore, non smentendo così la sua voc azione prevalentemente integralista e antiliberale (compreso, dispiace dirlo, ma è così, il suo capogruppo Fabrizio Cicchitto), mentre il Partito democratico è uscito dall’aula per non dividersi tra l’area laica e quella integralista. Parlo di laici e di integralisti e non di laici e di cattolici. Si può infatti essere cattolici e anche laici (come la maggior parte di coloro che ha votato a favore delle leggi sul divorzio nel 1974 e dell’aborto nel 1981) e si può anche essere non cattolici e integralisti. E non parlo solo di esponenti di altre religioni, è ovvio, ma anche di non credenti che si ispirano ad ideologie totalitarie e illiberali. C’è una forma di integralismo insopportabile nelle decisioni del governo cinese di imporre l’aborto per calmierare le nascite. La laicità è libertà e rispetto di tutte le idee e le convinzioni religiose ed etiche su valori non comunemente accettati. Voglio dire che si può non essere “relativisti etici” se di deve scegliere tra “l’ammazzare e il non ammazzare”, dunque, diciamo, tra l’etica di Osama Bin Laden e quella di Gandhi. Ma si deve essere a favore del rispetto etico sulle questioni non comunemente accettate, e che si riferiscono a valori imposti dalla fede o dalle fedi: la natura umana o meno dell’embrione, se la vita appartenga a noi o a un‘entità superiore, il valore, per la coppia, del contratto matrimoniale, la pratica o meno dell’omosessualità, per non parlare della scelta tra feto e madre o della indissolubilità del matrimonio. Ebbene, su questa questione che è centrale anche oggi, e le vicende della libertà della ricerca scientifica, assieme alle nuove scoperte, porteranno sempre più a discutere di tutto questo, in Ita lia vi sono o partiti lacerati che non possono esprimersi o partiti divisi al loro interno.
Ma la politica cos’è? Sono diventato socialista perché mi consideravo di sinistra, ma non accettavo la mancanza di libertà del comunismo. E anche sui diritti civili ho sposato appieno le posizioni di Loris Fortuna che ho conosciuto e stimato. Fortuna era un autonomista come Bettino Craxi e tra le libertà che ci separavano dai comunisti c’era anche questa: quella di poter divorziare, quella di permettere di abortire per salvare la vita di una donna esposta al rito degli aborti clandestini, quella di potere decidere anche della propria morte, senza che un tribunale di impietosi giudici decidesse della nostra vita, uccidendo anche la volontà di ognuno di noi. I comunisti tentennavano, noi e i radicali eravamo in prima fila. La grande battaglia contro le superstizioni, che conducemmo assieme a Marco Pannella in particolare, fanno parte del nostro miglior patrimonio. Erano le battaglie di un Psi, che era anche un partito di cattolici, ma non rinunciava alla sua laicità. E i cattolici che vi aderivano lo facevano proprio per questo: perché si consideravano cattolici liberali. La stessa cosa non si può dire del Pd. Anche il Pd è un partito composto da cattolici e da non cattolici. Ma sulle decisioni importanti non trova una posizione, se non la mediazione. E la mediazione dei principi è impossibile.
Se non fuggendo, appunto, e lavandosene le mani come Ponzio Pilato.

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I SOCIALISTI PER L'ASSEMBLEA COSTITUENTE.
Una grande battaglia per cambiare il paese e migliorare la politica.

di Roberto Biscardini

Dai primi anni ’90 la democrazia italiana ha subito un processo di continuo indebolimento e deterioramento. Oggi se non è in pericolo, è almeno in sonno. Ne sono una riprova evidente la crisi dello Stato nazionale e locale, la debolezza delle sue istituzioni, i conflitti ormai permanenti, su tutto e su ciascuna cosa, tra diversi organi e settori dello Stato, il conflitto tra sistema politico e magistratura, la crisi del sistema dell’informazione, la distanza ormai insostenibile tra costituzione formale e costituzione materiale. Il solco tra cittadini e istituzione si è allargato, una credibilità dello Stato è sempre minore. Viviamo al confine di un vero e proprio collasso e il sistema politico discute dei pannicelli caldi e inutili delle riforme elettorali. Sul versante della politica, i partiti della Costituzione del ‘48 non esistono più, sono implosi, e i nuovi per ragioni diverse nella Costituzione in vigore fanno fatica a riconoscersi. Non sono né suoi padri né suoi figli. Non a caso proprio i partiti che hanno le maggiori responsabilità della vita politica degli ultimi quindici anni, quelli che hanno introdotto extra legem le modifiche più sostanziali alla Costituzione formale, non hanno avuto nè il coraggio, né le capacita di affrontare la questione di una grande riforma organica della Costituzione, pur ritenuta necessaria.
Sicchè, siamo in un sistema parlamentare, ma di fatto i cittadini votano direttamente il Capo del Governo, che sentendosi a sua volta eletto direttamente dal popolo è portato a rispondergli direttamente anche scavalcando il confronto parlamentare. Siamo in un sistema ibrido, mezzo parlamentare e mezzo presidenziale sia a livello nazionale che a livello locale. I parlamentari, dentro una cornice costituzionale pensata per un sistema proporzionale e con voto di preferenza, sono viceversa nominati direttamente dalle segreterie dei partiti, sottratti alla sovranità popolare, rispondono e obbediscono al capo piuttosto che rappresentare la Nazione senza vincolo di mandato. Il sistema maggioritario, con annesso bipolarismo, pensato per garantire la governabilità e la stabilità di governo, non solo non l’ha garantita, ma ha indebolito le prerogative del Parlamento, senza più controbilanciamenti tra potere legislativo e potere esecutivo.
In sintesi, se da un lato questo sistema politico ha sempre riconosciuto la necessita di una grande riforma costituzionale, dall’altro non è mai stato in grado di farla. Tutti i tentati per via parlamentare sono falliti. Fallite le bicamerali, Fallite le riforme fatte in Parlamento. Con ciò dimostrando che il bipolarismo all’italiana, introdotto con le leggi elettorali dal 1994 in poi, venduto agli elettori come lo strumento politico più efficace per fare le riforme, non solo non le ha fatte, ma non ha consentito a nessuna legislatura di essere costituenti. Di fronte all’impotenza politica, buona per fare accordi ai danni degli altri, ma che condanna il paese all’immobilismo e ad un sistema politico ormai bloccato, bisogna reagire appellandosi alla sovranità popolare. Ciò che non è riuscito a fare il Parlamento, il sistema debole e incerto dei partiti, possono farlo i cittadini. In tanti modi, ma per prima cosa eleggendo direttamente e con sistema proporzionale un’Assemblea Costituente che, tempo un anno, sottraendo la Costituzione ad un Parlamento eletto con sistema maggioritario, alle logiche interne agli equilibri di governo e al conflitto fra gli schieramenti, approvi il testo di una nuova Costituzione, definisca la forma di Stato e di governo, la cornice di riferimento per la modernizzazione e il cambiamento del paese. Per questa ragione i socialisti promuoveranno la nascita di un Comitato per l’Assemblea Costituente che avrà il compito di presentare al Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare per l’elezione di un’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, così come avvenne nel ’46, ridando al popolo il potere di proposta legislativa che già la nostra Costituzione consente. Dopo sessant’anni, ciò rappresenta la più straordinaria risposta della sovranità popolare alla debolezza del sistema politico. Sistema politico, che ha costruito le condizioni della propria durevole sopravvivenza, ma non quelle di riempire il vuoto istituzionale in cui ci siamo infilati.
Un’Assemblea Costituente separata dal Parlamento e dall’attività legislativa di governo, con eletti che non potranno cumulare questo incarico con altri, ne tanto meno essere parlamentari. Eletta direttamente con sistema proporzionale, in rappresentanza di tutte le istanze ideali e politiche della comunità nazionale, espressione della politica e della cultura istituzionale. Il Parlamento continuerà il suo lavoro, continuerà a fare leggi, l’Assemblea Costituente farà la grande riforma definendo le regole fondamentali su cui si dovrà identificare lo Stato nuovo. E’ una proposta che può crescere e che può avere oggi un consenso che non ebbe negli anni passati.

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LA SCIENZA E LA N ATURA

di Luciano Pellicani
E’ universale opinione che ciò che ha conferito all’Occidente la sua specifica identità culturale, differenziandola profondamente da tutte le altre civiltà, è stata la rivoluzione scientifica. Questa è iniziata a partire dal momento in cui si è affermata l’idea secondo la quale il grande libro della Natura è scritto in caratteri matematici. Anticipata da Leonardo da Vinci[1] e formulata con la massima chiarezza da Galileo[2], questa idea ha rappresentato una svolta di portata storica. Grazie ad essa, l’Occidente non solo ha potuto costruire il prodigioso edificio della conoscenza scientifica; ha anche istituzionalizzato un potentissimo metodo per manipolare i fenomeni naturali e assoggettarli alla volontà e ai bisogni dell’uomo[3].

Suggestionato da una tachigrafica tesi di Max Weber – secondo la quale il “disincanto del mondo” sarebbe iniziato con il profetismo ebraico[4] –, Max Scheler ha perentoriamente affermato che “il monoteismo creazionistico giudaico-cristiano e la sua vittoria sulla religione e sulla metafisica del mondo antico fu senza dubbio la prima fondamentale possibilità per porre in libertà la ricerca sistematica della Natura. Fu un mettere in libertà la Natura per la scienza in un ordine di grandezza che forse oltrepassa tutto ciò che fino ad oggi è accaduto in Occidente. Il Dio spirituale di volontà e lavoro, il Creatore, che nessun Greco e nessun Romano, nessun Platone e nessun Aristotele conobbe, è stato la maggiore santificazione dell’idea del lavoro e del dominio sopra le cose infraumane; e nel medesimo tempo operò la più grande disanimazione, mortificazione e razionalizzazione della Natura , che abbia mai avuto luogo in rapporto alle culture asiatiche e dell’antichità”[5].

Difficile condividere un simile punto di vista, una volta che si tenga presente che il primo disincanto del mondo – la nascita del logos nelle poleis della diaspora greca – si è verificato in un contesto culturale affatto estraneo alla tradizione giudaica[6], così come fu affatto estranea alla tradizione giudaica la prima rivoluzione scientifica: quella che prese corpo nella civiltà ellenistica. Lucio Russo ha puntigliosamente documentato che nella città di Alessandria, durante il terzo secolo a. C, furono poste le basi della “scienza esatta”, vale a dire dell’insieme delle teorie che vengono definite mediante tre postulati. Il primo è che le affermazioni della teoria non riguardano gli oggetti del mondo reale, ma enti ideali. Il secondo, che la teoria ha una struttura rigorosamente deduttiva: essa è basata su pochi enunciati fondamentali (assiomi, postulati o principi) sugli enti della teoria e su un metodo unitario e universalmente accettato per dedurre un numero illimitato di conseguenze. Il terzo, che la teoria è applicabile al mondo reale mediante delle regole di corrispondenza fra gli enti ideali e gli oggetti concreti. Non avendo le regole di corrispondenza alcuna garanzia assoluta, il metodo per controllare la validità degli asserti teorici è quello sperimentale.

Questi i tratti essenziali della “scienza esatta” elaborata dalla civiltà ellenistica. La quale riuscì anche a mostrare che i modelli costruiti nel laboratorio ideale erano in grado di generare una tecnologia scientificamente orientata[7]. Senonché, il nesso fra sviluppo scientifico e sviluppo tecnologico non fu percepito dalle elite intellettuali dell ’Impero romano. Queste, pur affascinate dalla cultura greca, fecero cadere nell’oblio l’intero patrimonio della scienza ellenistica. Ancora più estranea allo spirito scientifico si rivelò la forma mentis forgiata dai Padri della Chiesa, centrata sul contemptus mundi e, pertanto, totalmente indifferente al sapere scientifico e al suo fall-out tecnologico. E, infatti, lungo tutto l’Alto Medioevo, nella Cristianità occidentale come in quella orientale, “la scienza risultò virtualmente estinta”[8].

Del resto, come avrebbe potuto essere diversamente? Nella Bibbia, il desiderio della conoscenza è vietato, poiché “l’uomo non è creato per una vita teoretica, conoscitiva, contemplativa: l’uomo è creato per una vita nell’obbedienza, come un bambino”; di qui la condanna della “scienza profana” e delle arti mondane, a meno che “queste cose, originatesi dalla ribellione umana, vengano consacrate al servizio di Dio […]. Il sapere umano, se consacrato al servizio di Dio, può essere un bene, ma, in assenza di tale dedizione, è ribellione. All’uomo l’intelletto è dato per comprendere i comandamenti di Dio. Se ne fosse privo non potrebbe obbedire liberamente. Ma, al contempo, questo stesso fatto permette all’uomo di emancipare la propria intelligenza dal servizio, dalla funzione servile per cui viene creata, e tale emancipazione dal punto di vista biblico è l’origine della filosofia o della scienza”[9]. In breve: la ragione autonoma, per la tradizione giudaico-cristiana, è una rivolta della creatura contro il Creatore: dunque, una potenza blasfema, quasi satanica[10]. Tant’è che, nella Genesi, “il diritto alla conoscenza si paga con la morte e la dannazione”[11]. Inoltre, contrariamente a quello che pensavamo Weber e Scheler, la Natura, per la Cristianità medievale, non era una realtà disanimata. Popolata di demoni e streghe, era concepita come il teatro di miracoli e di prodigi, non già come una realtà governata da leggi necessarie e impersonali. Era – così l’ha definita Jacques Le Goff – “una costante ierofania”[12].

Per questo, le catastrofi naturali e le epidemie erano percepite come castighi di Dio... CONTINUA al sito www.mondoperaio.com n. 3/2008

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