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De Gasperi, approfondimento
16.9.2012

INFO SOCIALISTA 16 settembre 2012 -a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it Quindicinale - Anno IX

Sommario:
1. Due libri per cominciare: Luigi Sturzo, “Appello ai liberi e ai forti” ed. Rcs, Milano 2011, Alcide De Gasperi, “La politica come servizio” ed. Rcs, Milano, 2011
2. Festa nazionale Psi a Perugia: LE PRIMARIE DELLE IDEE:NO A MONTI. COALIZIONE PSI, PD,SEL CON L'UDC. SI ALLA PATRIMONIALE
2. Corsa alla Provincia, prima idee poi nomi -di Alessandro Pietracci, giornale l’Adige, 29 agosto 2012, p.1

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1. Durante l’agosto 2012 si sono susseguiti in Trentino commenti e commemorazioni sulla figura e l’opera di De Gasperi. Per approfondire alcuni aspetti significativi, segnaliamo la lettera di Nicola Zoller al direttore della Fondazione Trentina De Gasperi prof. Zorzi.

LA LETTERA:
Caro prof. Zorzi,
rileggendo gli interventi di don Sturzo e di Alcide De Gasperi nella collana edita recentemente da Rcs- Corriere della Sera,emergono due posizioni sulle quali ti chiederei un autorevole parere.
1. Sturzo fondò il PPI come partito "popolare", non cattolico, parchè disse: "Non ci siamo chiamati 'partito cattolico': i due termini sono antitetici;il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione"
2. De Gasperi invece costruì la DC come "partito confessionale di tutti i cattolici" (non si prevedeva un pluralismo di scelte partitiche per i cattolici), ma lo volle libero da ingerenze vaticane (successivamente anche Aldo Moro precisò: "la Dc non è un partito cattolico nel senso che sia espressione politica della gerarchia ecclesiastica").
Finì tuttavia che don Sturzo si fece sostenitore nel 1952 di una "operazione" di destra dettata dalla gerarchia cattolica vaticana, mentre De Gasperi la ostacolò decisamente. Rispetto ai punti di partenza dei due personaggi, come si spiegano queste scelte divergenti?
Grato della tua attenzione e di una cortese risposta, saluto cordialmente.

Nicola Zoller



LA RISPOSTA:

Caro dott. Zoller,
la questione che sollevi non è certo di quelle liquidabili in poche battute, ma una certa idea in proposito, nel corso dei miei studi, me la sono fatta e provo a riassumerla così:
a) In effetti sia Sturzo che De Gasperi non hanno mai condiviso una visione clericale della politica e del proprio partito di riferimento. Nello specifico degasperiano poi, sin dai tempi dell’Austria (quando tra socialisti, liberali e cattolici ci si poteva scontrare tirando in ballo anche il santuario di Pinè o il busto del Canestrini ), valgono, sia pure su piani diversi, il metodo del confronto argomentato e il principio secondo cui la verità non ha mai nulla da temere: il che impone a tutti rispetto dell’avversario (che non va disprezzato, ma semmai prevenuto nelle sue proposte più incisive: ad esempio, nel caso dei socialisti – scrive De Gasperi nel 1905 – nel campo dell’azione sociale, ecc.), studio e competenza vera, anche nel momento dello scontro (e tu sai bene che in quella palestra di democrazia che furono allora “Il Popolo”, “L’Alto Adige” e “Il Trentino”, certo nessuno dei protagonisti del tempo “se le mandava a dire …”).
b) Da un punto di vista ideale, sul tema della laicità c’è indubbiamente un filo rosso che unisce sia Sturzo che De Gasperi, un tramite che vuole, per dirla con De Gasperi nel luglio del 1948, che “si debba essere liberali sino al punto da ammettere che nessuna legge e nessun provvedimento possa toccare la libertà di coscienza di chicchessia in quanto cittadino italiano per ciò che riguarda le sue convinzioni religiose o culturali”.
c) Dunque, anche quando nel 1943 si tratta di fondare un nuovo partito, la Democrazia cristiana, la scelta del nome, almeno per il politico trentino, doveva valere a saldare la vecchia generazione prefascista dei popolari sturziani con la più giovane generazione formatasi nell’Azione Cattolica vicina al futuro papa Montini; ancor più doveva essere la porta di accesso per dare anzitutto alle masse cattoliche un punto di riferimento politico che unisse in maniera del tutto consapevole tre qualità: il nuovo partito aveva infatti un senso solo se forte dal punto di vista del consenso popolare, democratico e antifascista; certo sostenuto dalla Chiesa, ma senza concedere spazi di ambiguità sul fatto che “anche nell’azione politica futura ci proponiamo di dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare” (gennaio 1944).
d) Da questo punto di vista, una volta affermata una netta opzione democratica e antifascista l’aggettivo cristiano valeva e valse certamente per De Gasperi come punto di riferimento valoriale ispirato al magistero della Chiesa, ma non tanto con la preoccupazione primaria di fare della DC l’unico partito dei cattolici quanto piuttosto con l’esigenza di farne il centro di propulsione politica democratica del Paese alla luce non solo della storia dell’Italia ma anche del nuovo assetto bipolare del mondo uscito da Yalta. Il fine ultimo per il De Gasperi politico è insomma la promozione della pace, della democrazia e della libertà nell’Italia uscita disastrata dalla guerra ed è evidente che per fare questa operazione il politico trentino ha bisogno di un creare il partito italiano più forte dell’arco costituzionale, di avere con sé l’appoggio della Chiesa (ma nel rispetto dell’autonomia delle sfere di competenza), infine di allargare il centro politico dei suoi governi a tutte le forze disposte ad accettare l’opzione atlantica e europeista. Insomma, la domanda che si pone anzitutto De Gasperi quando nel 1942 riprende a fare politica attiva non verte tanto sul numero possibile dei partiti cattolici ma sulla consapevolezza che l’Italia del tempo si sarebbe potuta rialzare in piedi solo a partire da un forte partito di massa ispirato ai valori cristiani e capace di promuovere una coalizione in cui anche i laici avrebbero dovuto portare una parte fondamentale della storia risorgimentale del nostro Paese. In conclusione: il fine è l’avvento della democrazia dopo tanti anni di dittatura, l’opzione del partito DC resta per De Gasperi lo strumento tattico e strategico migliore in quelle determinate opzioni storiche per costruire tale fine. Ma De Gasperi lo dice chiaramente che in altri contesti storici, quello ad esempio del laburismo inglese, si sarebbe potuti andare ragionevolmente in altre direzioni. Ancora una volta: il ragionamento di De Gasperi è sempre culturale e politico, nonché tattico e strategico al tempo stesso. E dunque sempre a partire dal tempo in cui si vive, dalle condizioni in cui si opera e dalla necessità di incidere sul presente con gli strumenti politici migliori che si possono costruire!
e) E’ del tutto conseguente che De Gasperi sia ben consapevole del fatto che quando si opera sul piano politico si entra in una dimensione diversa rispetto a quella che si vive quando si agisce sul piano strettamente culturale. Non perché, come talora molto rozzamente si sostiene, il pensiero e le idee siano una cosa più o meno astratta rispetto alla presunta mera “fattualità” dell’azione politica. De Gasperi non ha infatti mai cessato di tenere in tensione dialettica mondo delle idee e mondo della decisione politica. E’ pero anche consapevole di come nell’azione politica idea e decisione debbano trovare una costante mediazione in campo storico, un campo di tensioni molto più complesso e, ancor più, variabile di quello che sta di fronte al filosofo o allo storico di professione.
f) Nello specifico del rapporto tra De Gasperi e Sturzo dopo la seconda guerra mondiale, dovevano pesare a fronte di talune indubbie diversità di giudizio storico-politico tre ordini di cose, peraltro strettamente correlati tra di loro: il lungo esilio di Sturzo durante il ventennio fascista e quindi una certa perdita di contatto con i nuovi e fragili equilibri in via di formazione del secondo dopoguerra; il nuovo ruolo di protagonista attivo sulla scena politica italiana del De Gasperi Presidente del Consiglio; infine una più naturale propensione di quest’ultimo a “far maturare l’azione politica nel tempo”, senza chiudersi nelle rigide distinzioni sturziane tra partito e universalismo cattolico. Insomma, per il De Gasperi statista, quel De Gasperi che certo aveva più volte dimostrato di non avere alcuna simpatia per i clerico-fascisti, dopo il 1945 si trattava ancora una volta, anzitutto, di ricostruire il Paese evitando a tutti i costi la guerra civile e salvaguardando libertà e democrazia per tutti gli italiani, qualcosa che andava ben oltre l’esigenza sturziana di rinnovare in ogni passaggio di fondo una aperta proclamazione di aconfessionalità.
g) Con ciò De Gasperi non voleva però eludere la necessità di ribadire la laicità della politica qualora si presentasse la necessità di farlo. Ma in questo caso, proprio per quanto ho appena sottolineato, non stupisce che l’intervento di De Gasperi si inserisca in una visione più ampia dove convivono per lo meno tre livelli:
- Il primo livello è quello del principio di laicità ed abbiamo già visto come fosse condiviso anche da Sturzo;
- Il secondo livello, che ora torno a sottolineare è quello propriamente politico, ed è qui appunto che talora le scelte di Sturzo e De Gasperi possono divergere, avvertendo quest’ultimo molto di più l’esigenza di misurarsi con “la storia delle conseguenze” politiche della scelta da prendere in determinati frangenti: non solo in rapporto alla propria coscienza o in relazione all’ideale democratico da mantenere alto e forte, e nemmeno semplicemente in relazione all’interesse della DC. Ma, ancor più, in rapporto alla tenuta della coalizione governativa (tenuta che per De Gasperi aveva anche una funzione, per così dire, pedagogica, nella ricostruzione democratica del Paese, ben oltre le percentuali dei vari partiti componenti) e, soprattutto, in rapporto alla assoluta necessità di tenere unita l’Italia tutta!
- il terzo livello è quello costituzionale, la cui storia a più voci (dove chiaro era il riferimento al personalismo cristiano) era tale da rendere inutile, sempre secondo De Gasperi, ogni esplicito richiamo a Dio nel preambolo, come ad esempio aveva chiesto un uomo di dialogo e certamente non integralista né conservatore come La Pira (altra apparente contraddizione).
h) L’esplicitazione per certi versi drammatica della mia tesi si mostra appunto nella cosiddetta “operazione Sturzo” alle amministrative romane del 1952. Dove appunto la difesa del principio di laicità si coniuga chiaramente, in De Gasperi, per un verso con una più lucida e lungimirante visione politica d’insieme delle forze scese in campo; per un altro verso, quasi di conseguenza, con la consapevolezza che l’eventuale presenza di una nuova lista politica “di destra” in cui riversare Azione Cattolica, missini e monarchici avrebbe prodotto due conseguenze politiche e culturali a dir poco disastrose, anzitutto, ancora una volta, per il futuro democratico dell’Italia: all’interno avrebbe infatti spaccato la DC facendo nascere alla sua destra un’altra forza dichiaratamente conservatrice e inevitabilmente integralista; sull’esterno avrebbe invece finito per rompere l’unità morale del Paese: unità sancita, in ultima istanza, dalla Costituzione, un valore di enorme portata per De Gasperi, che ne coglieva la valenza maieutica nello sviluppo del Paese stesso.
i) Ebbene, questa percezione della complessità delle cose in movimento, una percezione anzitutto, ma non del tutto, specificamente politica, mancava all’ultimo Sturzo, al di là sia di una fortissima reciproca stima, peraltro legata anche a tante battaglie vissute insieme, sia della indubbia fede comune nella laicità della politica. Ma come la storia ci insegna, proclamare in tutta convinzione dei valori non significa ipso facto avere già la risposta in tasca per scegliere la via politica più opportuna e capace di tradurli politicamente in atto in situazioni dominate dal pluralismo politico e culturale nonché da una selva di interessi (a volte nobili a volte ignobili … ) e di fattori del tutto contingenti!

Caro dott. Zoller, rimanendo a tua disposizione per eventuali altri interrogativi, sui quali, peraltro, tutti noi non possiamo che rimanere in atteggiamento di doverosa, continua ricerca, ti saluto cordialmente-

Beppe Zorzi


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2. Festa nazionale Psi a Perugia: LE PRIMARIE DELLE IDEE:NO A MONTI. COALIZIONE PSI, PD,SEL CON L'UDC. SI ALLA PATRIMONIALE
16/09/2012 - www.partitosocialista.it

Oltre 3000 i votanti alle Primarie delle idee della cinque giorni di Festa Socialista conclusa stamani a Perugia.
Dalla rilevazione effettuata tra quanti hanno partecipato alla kermesse e' emerso un giudizio sostanzialmente negativo sul Premier Monti, (il 61% dei votanti esprime una insufficienza, tra questi il 27% l'ha definito pessimo), mentre il giudizio sul Premier è positivo per il 35%. Considera la crisi figlia della inadeguatezza di Berlusconi (20%) e determinata dalla cupidigia delle Istituzioni Finanziare (45%).Alla domanda se "per superare la crisi è primario l’abbattimento del debito pubblico o una politica di sviluppo, oppure entrambe" l'80% ha risposto individuando come primarie le politiche di sviluppo mentre alla domanda su "come, si può determinare una politica di giustizia sociale?" il 50% degli interpellati ha proposto l'istituzione della patrimoniale sulle grandi ricchezze.
Al quesito “se i diritti civili devono essere sacrificati sull'altare della crisi economica”, il 39% ha risposto positivamente mentre il 25% li ritiene prioritari e comunque il 50% non incompatibili.
La coalizione che sembra piacere di più' ai militanti socialisti e' quella vede assieme Bersani Vendola Nencini e Casini (46%) , più indietro la coalizione dei progressisti che vede insieme Pd, Sel e Psi (21%) ma oltre il 27% includerebbe l'Udc al posto di Sel ed appena il 2% vorrebbe la grande coalizione .
Sull'indicazione del candidato premier, infine , Nencini (36%) prevale su Bersani (32%), Casini (6) Vendola (4) ed appena l' 1% per Renzi.


3. Corsa alla Provincia, prima idee poi nomi

-di Alessandro Pietracci, giornale l’Adige, 29 agosto 2012, p.1

In questi ultimi giorni la stampa e la politica del Trentino si sono interrogati sull'attualità della figura di Alcide De Gasperi. Non è una novità, anche se quest'anno l'interesse è stato molto maggiore. Forse una certa nostalgia di un passato, difficilmente ripetibile, segnato da grandi personaggi di tradizioni politiche e culturali differenti, ha contraddistinto queste rievocazioni; forse l'avvilente quadro di una classe dirigente incapace di rispondere ai bisogni reali del paese ha spinto a guardare ai veri statisti in grado di ricostruire l'Italia dopo le macerie della guerra. Tuttavia De Gasperi è diventato, per la forza intrinseca del suo pensiero e della sua azione un punto di riferimento per tutti. Anche per i socialisti di cui è stato un fiero e leale avversario. Le circostanze storiche che imponevano una contrapposizione quasi ideologica tra blocchi sono certamente mutate e quindi non deve meravigliare che anche la tradizione socialista e riformista odierna può intravvedere nella figura dello statista trentino la statura e l'esempio per un reale afflato di governo.
Abbiamo già scritto più volte che la sinistra in Trentino è silente da troppo tempo. La discussione ruota intorno alla legge elettorale, alle primarie di coalizione o di partito, ai pretendenti per la, non facile, successione di Dellai alla guida del Governo Provinciale. I socialisti non partecipano a questo gioco, non tanto perché non sono invitati a esprimere le proprie valutazioni ma perché ritengono che, almeno in questa fase, occorre riflettere sui contenuti. Quante volte si è accennato al fatto che ogni compagine riformista debba parlare chiaro ai cittadini, proponendo al contempo idee nuove capaci anche di trascinare la voglia di partecipazione. Sommessamente allora i socialisti vogliono offrire alla coalizione di centro sinistra alcuni spunti di dibattito. Essi però non devono finire nei corridoi di partiti sempre meno in grado di elaborare idee, ma dovrebbero riuscire a rivolgersi direttamente all'opinione pubblica, con proposte realistiche e realizzabili.
I cittadini sono giustamente preoccupati per la situazione economica. Non c'è lavoro per i giovani, cresce la disoccupazione dei cinquantenni. Eppure altri dati ci parlano di migliaia di posti di lavoro che ci sarebbero, ma che non trovano chi li ricopra. Come mai? Perché per troppi anni abbiamo sbagliato politica sulla ricerca e sulla formazione. Non siamo riusciti a stare al passo con i tempi, ancorati come siamo alla nostra tradizione umanistica, peraltro gloriosissima, ma obsoleta se non viene riammodernata, destinata a perire nella competitività globale ma anche nei reali bisogni locali. Per questo è molto importante il ruolo dell'Università: la recente e sofferta provincializzazione dell'Ateneo Trentino deve essere il prodromo per una migliore connessione tra la formazione e il mondo del lavoro. Occorre puntare sulle discipline fondamentali per l'oggi: le professioni di cura (medici, infermieri, fisioterapisti) ma anche operatori agricoli, tecnici informatici, operai specializzati. Sembrano campi molto diversi tra di loro ma il Trentino può riuscire in una sintesi originale, proprio grazie agli strumenti offerti dalla speciale autonomia. Si possono percorrere varie direttrici che vanno da maggiori sinergie con le realtà limitrofe (penso a Verona per la medicina) al potenziamento degli eccellenti centri di ricerca, come l'istituto di San Michele oppure la fondazione Mach, connessi però al mondo delle imprese, della cooperazione, della realtà produttiva.
Occorre nello stesso tempo incentivare i giovani a intraprendere determinati corsi di studio. Per questo è importante puntare sulla formazione scolastica, concepita sia come momento per apprendere le nozioni fondamentali per diventare uomini e cittadini, sia come cerniera per il futuro occupazionale. Riformismo è indicare la strada, pensare con qualche anno d'anticipo agli scenari che si presenteranno alle nuove generazioni. Così come aveva fatto De Gasperi (che aveva a fianco figure come Einaudi e Nenni). Il Trentino del dopoguerra, proprio dal punto di vista economico, è stato innovativo e riformista, incamminandosi sulla strada della prosperità. Facendo però precise scelte, dotandosi di strumenti all'avanguardia come i piani urbanistici, declinando la propria autonomia statutaria in leggi invidiate e studiate dal resto del Paese.
Parlando sempre di lavoro sappiamo che in Italia le Agenzie per il collocamento non funzionano. In Germania quasi il 60% delle assunzioni avviene attraverso le strade fornite dallo Stato, in Italia (e anche in Trentino) prevalgono il passa parola, l'amico dell'amico, la raccomandazione. Si potrebbe fare della nostra provincia un esempio di migliore connessione tra Agenzia del lavoro e occupazione concreta?
Il discorso si allungherebbe, ma basterebbero questi due ambiti, formazione e lavoro, per segnare in profondità un programma riformista che voglia puntare proprio sul sociale, sulla vita quotidiana, sui bisogni vecchi e nuovi della gente. Nei prossimi mesi i Socialisti trentini rifletteranno ulteriormente su questi punti, cercando anche di offrire alla coalizione occasioni di dibattito pubblico e di confronto.


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Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione.



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