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EINSTEIN, L’UMANISTA
26.3.2019

EINSTEIN, L’UMANISTA LOTTAVA PER LA PACE
-di Nicola Zoller*
Giornale "Trentino", 26 marzo 2019, pp 1 e 9

La stampa quotidiana, le riviste scientifiche ma anche quelle letterarie ricordano in questo marzo 2019 la ricorrenza della nascita di Albert Einstein, avvenuta 140 fa, nel 1879, a Ulma in Germania; concluderà la sua formidabile esistenza nell’aprile 1955 negli Stati Uniti. Si dice ''formidabile'', perché Einstein non fu solo il grandissimo scienziato che tutti conoscono, ma anche un idealista, un pensatore politico e un cultore della tradizione ebraica, esperienze che qui concisamente provo a descrivere seguendo la traccia di un suo saggio.
«La ricerca del sapere fine a sé stessa, un amore quasi fanatico per la giustizia e il desiderio di indipendenza: sono questi i tratti della tradizione ebraica che mi fanno rendere grazie alle stelle perché ne faccio parte». Albert Einstein nel 1934 autorizzò la raccolta di una serie di suoi pensieri sulle grandi questioni mondiali che vennero pubblicati sotto il titolo di “Mein Weltbild”, poi riproposti in inglese nel 1956 con il titolo “The world as I see it” e nel 2010 nell’ edizione italiana intitolata “Il mondo come io lo vedo”.
Abbiamo citato il riferimento alla tradizione ebraica perché il grande fisico si sente pienamente partecipe di quella cultura, la quale coltiva naturalmente «uno spirito internazionale» messo invece in pericolo da chi segue un «gretto nazionalismo». Certo gli ebrei hanno imparato nei secoli a restare uniti e ad aiutarsi vicendevolmente per sopravvivere, ma – acquisita la consapevolezza che «le difficoltà e gli ostacoli sono una valida fonte di salute e forza per qualsiasi società» – sono stati in grado di promuovere anche «fini umani generali». O almeno questa è la profonda convinzione di Einstein, che – ad esempio – indica agli ebrei di Palestina come «compito politico più importante» quello di «stabilire sane relazioni con gli arabi», rimuovendo così il «nazionalismo meschino» di una parte e dell’altra, concedendo spazio solo ad un sentimento nazionale il cui obiettivo «non sia il potere ma la dignità e la salute»: in caso diverso - dichiara Einstein - «se non dovessimo vivere tra gente intollerante, limitata e violenta, sarei il primo a rigettare qualsiasi nazionalismo in favore dell’umanità universale».
Conciliazione e pace sono stati gli obiettivi più volte ribaditi dal grande scienziato. Contro il militarismo è stato sferzante: «Che un uomo possa trarre piacere dal marciare in formazione sulla scia di una banda basta a farmelo disprezzare. È stato fornito del suo grande cervello solo per sbaglio; gli sarebbe bastata la spina dorsale». E contro la corsa agli armamenti e lo spirito bellico dei governi, sostiene l’obiezione di coscienza al servizio militare in ogni Paese. È certamente una lotta illegale – ammette – contro le consuetudini e le regole correnti. Ma se da scienziato vede con orrore che «i frutti del progresso tecnico forniscono i mezzi per la distruzione della vita umana», da umanista considera più temibile di tale distruzione l’umiliante schiavitù in cui la guerra degli Stati cala l’individuo: «Non è forse terribile venir forzati dalla comunità a fare cose che ogni singolo considera crimini abominevoli?» Diventare assassini in nome e per conto della patria è l’umiliazione dell’uomo: i veri eroi della grande guerra – afferma Einstein – sono stati «i pochi che hanno avuto la grandezza morale di resistere» al richiamo militarista.
Il rifiuto della coercizione degli apparati statali porta Einstein su altro fronte – quello economico – a manifestarsi pessimista sulla pianificazione statalizzata della produzione e distribuzione dei beni. Siamo negli anni ’30 del Novecento, ma egli già intravede diseconomie, protezionismi, ostilità verso le innovazioni, mezzi terroristici nei sistemi sovietizzati. Einstein ritiene preferibile la libertà di impresa di tipo occidentale, senz’altro più efficace come sistema produttivo e più rispondente alle domande dei consumatori. Ma per evitare che «la tirannia dei proprietari dei mezzi di produzione verso i salariati» diventi intollerabile, indica due ambiti in cui «questa libertà economica dovrebbe essere limitata: in ogni branca dell’industria il numero delle ore lavorative settimanali dovrebbe essere tanto ridotto per legge da abolire sistematicamente la disoccupazione; contemporaneamente dovrebbero essere fissati dei salari minimi in maniera che il potere d’acquisto dei lavoratori sia adeguato alla produzione; inoltre, in quelle industrie che hanno assunto un carattere di monopolio, mediante un’organizzazione dei produttori, i prezzi devono essere controllati dallo Stato». L’avidità dei capitalisti non deve prevalere sulla solidarietà: l’ebreo Einstein testimonia che «non è un puro caso se le prime richieste di socialismo furono per la maggior parte sollevate da ebrei».
*collaboratore della storica rivista “Mondoperaio” fondata da P. Nenni



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