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DIMENTICARE BERLINGUER
24 giugno 2019

DIMENTICARE BERLINGUER
-di Nicola Zoller
giornale TRENTINO, lunedì 24 giugno 2019, p.1 s.

Ci sono stati molti ricordi in questo giugno 2019 del leader comunista Enrico Berlinguer nel 35° anniversario della morte: un decesso drammatico, compiutosi sul palco di un comizio a Padova, che creò tanta ammirazione e commozione nel Paese. Anche oggi va reso omaggio a quella scomparsa, ma dovremmo aggiungere una valutazione più corretta sulla politica berlingueriana. Chi parla ancora della sua lezione “morale” non sa di cosa parla, anche se nell’immaginario populistico-mediatico, infarcito di tante fake news allora come ora, si è imposto quel termine dopo una famosa intervista a Scalfari del luglio 1981. Eppure questa narrazione sarebbe stata smontata da tempo: Berlinguer non aveva più niente da difendere, dopo la caduta definitiva delle illusioni comuniste e il fallimento del suo italico compromesso storico, considerato per la sua illiberale portata consociativa “la causa di un vero crack della democrazia” come dirà poi un insospettabile Luciano Violante. È riportato nel libro della scrittrice Miriam Mafai - prima comunista, compagna di Pajetta e poi deputata del Pds - che spiega tutto fin dal titolo: “Dimenticare Berlinguer – la sinistra italiana e la tradizione comunista”. Berlinguer dunque come diversivo puntò l’attenzione sulla corruzione degli altri partiti, quelli democratici. Certo, lì purtroppo c’erano e ci saranno anche in futuro problemi di quel genere: ma dal pulpito berlingueriano non poteva venire nessuna “lezione”. Il suo Pci infatti era il maggior ricettacolo occidentale di finanziamenti illeciti e immorali. L’ha scritto non un greve avversario, ma il responsabile dell’organizzazione comunista della segreteria berlingueriana, Gianni Cervetti; nel suo libro ‘L’oro di Mosca’ afferma: “Non c‘è epoca, paese, partito che non abbia usufruito di fonti per finanziamenti aggiuntivi! Sostenere il contrario significa voler guardare a fenomeni storici e politici in maniera superficiale e ingenua o, viceversa, insincera e ipocrita”. Ma non solo: altamente “immorale”, avrebbe detto più propriamente Barbara Spinelli che su giornale ‘La Stampa’ scrisse che il finanziamento dei comunisti russi, ben accolto dai partiti “fratelli” dell’Occidente, è la vera colpa morale di quest’ultimi: “Quelle decine di miliardi che ogni anno affluivano da Mosca erano tolte a popolazioni che non vivevano una povertà bella, ma un inferno di miseria senza fine”. Una colpevole consapevolezza che faceva ammettere ad un fedelissimo dirigente Pci come Alessandro Natta che le quelle “cose” sostenute da Berlinguer erano “dette in modo irritante”, con un “tono moralistico e settario”; si aggiunse anche – come riporta il libro di Mafai – la valutazione di Giorgio Napolitano che “denuncia l’analisi di Berlinguer come faziosa, moralistica, agitatoria”. Qui potremmo concludere; ma ora, a rafforzare la pessima posizione morale di Berlinguer, è arrivata anche l’apertura degli archivi del Cremlino: ci sarebbe da leggere un libro di un ex giornalista de ‘L’Unità’ Domenico Del Prete, intitolato senza mezzi termini ‘L’inganno di Berlinguer’, che ne illustra la doppiezza filosovietica; mentre nella desecretata “Lettera dell’Incaricato di Affari dell’Urss in Italia S. Kuznecov al segretario del CC del Pcus B.N. Ponomarev” si dà conto del fatto che Berlinguer si interessava direttamente dei soldi e degli affari collegati alle percentuali sull’import-export con l’Unione Sovietica. Scrive Ponomarev: “Egregio Boris Nikolaevic, inviamo una lettera del compagno Enrico Berlinguer indirizzata al Comitato Centrale del Pcus. Nella missiva comunica che la dirigenza del Pci ha di recente analizzato la questione delle relazioni commerciali tra le ditte legate al partito e le organizzazioni del commercio estero sovietico… Nell’allegato alla lettera di Berlinguer vi è una lista di queste ditte e alcuni consigli pratici degli amici su tale questione”. Consigli pratici, capito?
Certamente si può dire che la dirigenza comunista si manteneva devota al partito, al quale sacrificava la propria integrità personale, condizione per altro condivisa da tanti altri dirigenti dei partiti di sinistra a partire da Craxi che – udite, udite – secondo il vicecapo della Procura milanese Gerardo D’Ambrosio in una intervista del febbraio 1996 sentenziò: “La molla di Craxi non era l’arricchimento personale ma la politica”. Termini volutamente scordati da tanta squilibrata propaganda, pronta invece a riverire la presunta “diversità” morale del Pci: l’ha ben scritto il politologo democratico Michele Salvati, che in un noto articolo sul ‘Corriere della Sera’ ha precisato: “Tutto ciò che serviva per rafforzare ed estendere l’influenza del partito – dalle tangenti alle nomine – non trovava ostacoli nella ‘superiorità etica’ del Pci” prima, durante e dopo Berlinguer.
Si dirà che queste puntualizzazioni non serviranno a cambiare le cose future del Paese e della sinistra: ma se non si conoscono i dettagli della storia non si può neanche costruire il futuro. “Chi vuole fare qualcosa di nuovo deve prima conoscere a fondo il passato”, consigliava il grande storico Ernst H. Gombrich. Sapere ad esempio quanti danni hanno prodotto i giustizialisti e moralisti mendaci - che accusando gli altri e assolvendo sé stessi (non solo il Pci, in verità, ma anche Leghisti, ex-neofascisti… e tante fasce di popolo più o meno privilegiate) hanno travolto la prima repubblica democratica - aiuta a capire cosa non si dovrebbe ripetere in futuro. Quella ad esempio che il grande filosofo Norberto Bobbio definì tristemente “una pessima prova”, quando popolo e apparati pubblici e privati, dopo aver tanto appoggiato per molti anni i governi costituzionali tra il 1946 e il 1992, si rivoltarono contro di essi, sollecitati da un imponente apparato mediatico-giudiziario rivelatosi non imparziale. In futuro, basta “prove” di questo tipo, ripeterebbe Bobbio.

Nicola Zoller,
collaboratore della storica rivista “Mondoperaio” fondata da P. Nenni



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