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PAOLO ROSSI per la nostra storia
14.12.20

CIAO PAOLO, SENZA DI TE LA NOSTRA SAREBBE STATA TUTTA UN’ALTRA STORIA
-di Nicola Zoller
Giornale TRENTINO, 14 dicembre 2020

“Fummo giovani soltanto allora”. La mia generazione, che negli scorsi anni Ottanta viaggiava tra i venti e trent’anni, può ben immedesimarsi in questa frase di Leo Longanesi quando ricordiamo l’impresa della Nazionale di calcio ai Mondiali del 1982 in Spagna, sotto la guida di Enzo Bearzot e soprattutto con un fuoriclasse come Paolo Rossi. Perché ora a quest’ultimo dobbiamo riferirci, nei giorni del suo trapasso e della morte per malattia a 64 anni d’età: fu il capocannoniere a quel Mondiale e nello stesso 1982 vinse anche il Pallone d’oro.
Ma anche chi a quel tempo non era giovane come noi, coetanei di Rossi, o non si interessava di calcio, ebbe un fremito di felicità per quella – dapprima sofferta e poi brillantissima – impresa spagnola. L’hanno chiamata “gioia bambina” quella imponente allegria spensierata che prese tutta l’Italia, a partire dal presidente Sandro Pertini fino al cittadino più semplice. Peraltro di quella “semplicità” Paolo Rossi ne aveva fatto un valore, trasmesso dai genitori e da lui custodito per i figli. Antonello Venditti ha suggerito che “Paolo era un ragazzo come noi”; in realtà Rossi fu una persona speciale, proprio perché consentì che moltissimi si ritrovassero in lui. Ma naturalmente fu eccezionale anche e soprattutto perché grazie a lui l’Italia vinse i Mondiali del 1982. Non era partito bene quel Mondiale, critiche feroci erano state mosse a Bearzot e al suo beniamino Rossi. Poi vincendo contro Argentina e Brasile, l’umore cambiò e i denigratori di prima diventarono eccitati sostenitori: succede spesso così, nel calcio ma anche nella vita. Poi l’11 luglio 1982 giunse la finale con la Germania, battuta 3 a 1: e il primo dei tre goal fu di Rossi. Ricordo ancora quella sera di festa grandissima nel caldo tepore estivo. Noi lagarini confluimmo in tanti a Rovereto, chi in auto, chi in moto: io montavo sulla sella posteriore di una potente Ducati, sventolando una imponente bandiera italiana. Fin da allora avrei dovuto comportarmi bene, a 27 anni ero già segretario provinciale del Psi. Ma la gioia ci fece diventare tutti fanciulli festosi, festosissimi.
C’è chi ha rammentato che con quei primi anni ’80 era migliorato in positivo il temperamento degli Italiani, dopo gli anni del terrorismo più buio: per taluni il nostro Paese sarebbe poi diventato l’Italia “da bere”, dunque più frivola; per altri un Italia più moderna, una società meno diseguale. Comunque sia, ritornando alla vicenda umana di Paolo Rossi, allora si incuneò un tarlo che successivamente si sarebbe allargato nel Paese. Rossi nel 1980 fu coinvolto in uno dei ricorrenti “scandali delle scommesse”, prendendosi tre anni di squalifica tra gli insulti dei colpevolisti; ricordo un titolo cubitale de ‘la Repubblica’: “Il calcio in galera”. Rossi, dipinto come un malandrino, ne soffrì molto ma trovò in Bearzot – persona giusta e dunque non moralista – un sostenitore. Poi il suo coinvolgimento fu giudicato “marginale”: la squalifica venne ridotta a due anni e poté partecipare ai Mondiali del 1982. Senza di lui la nostra sarebbe stata un’altra storia, e magari non solo quella calcistica. Di quanti altri “Bearzot” avrebbe avuto bisogno più in generale l’Italia, prima e dopo quel Mondiale? Sicuramente per il passato ma probabilmente anche per gli anni a venire, l’Italia avrebbe fatto meglio ad essere più equa e clemente, come Bearzot.

Nicola Zoller



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