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Calabresi e il non detto
9-1-2021

Pinelli, Calabresi e quello che spesso non ti dicono
-di Nicola Zoller
-giornale TRENTINO, 30 dicembre 2020

C’è una storia quasi perduta di violenza e terrore. Con cautela l’ha riproposta recentemente uno studioso autorevole come Ernesto Galli della Loggia. Egli, partendo da un libro dell’ex direttore de ‘la Repubblica’ Mario Calabresi – figlio del commissario Luigi Calabresi, assassinato nel 1972 dagli estremisti di sinistra – domanda perché un mondo culturale vagamente progressista abbia “costeggiato fatti o protagonisti dell’eversione rossa” degli anni ’70; per poi ben guardarsi dall’assumersi responsabilità in materia. Anzi , “senza mai chiedere scusa di nulla”, questo mondo si è poi messo a “darci lezioni di civismo e moralità”: non a caso alcuni di questi pensatori vent’anni dopo guidarono anche il fronte giustizialista al tempo delle cosiddette “mani pulite”. Ma di chi stiamo parlando? C’è il modo di risalirvi, attraverso la “Lettera aperta a ‘L'Espresso’ sul caso Pinelli” che ben 757 intellettuali italiani sottoscrissero nel giugno 1971. In essa si afferma che il commissario "Luigi Calabresi porta la responsabilità della fine di Giuseppe Pinelli", rivolgendosi con disprezzo "ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni". Nell’articolo di Galli della Loggia non appaiono i nomi, ma basta una breve ricerca per trovarli. L’elenco è impietoso – viene riportato per esteso in https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_aperta_a_L%27Espresso_sul_caso_Pinelli – e fa tremare i polsi se si pensa che meno di un anno dopo Calabresi morì sotto i colpi dei killer vendicatori.
In seguito Norberto Bobbio parlò apertamente di «orrore» nel rileggere quelle parole. Altri, come Paolo Mieli e Carlo Ripa di Meana, ritrattarono la sottoscrizione dell'appello, ritenendo che esistesse un nesso di causalità con l'omicidio Calabresi, avvenuto meno di un anno dopo. Eugenio Scalfari ha scritto nel 2017 di aver detto in precedenza alla vedova di Calabresi che «quella firma era stata un errore». Circa vent’anni dopo la pubblicazione del documento, il settimanale ‘L’Europeo’ intervistò alcuni firmatari chiedendo se non avessero rinnegato quell’adesione: nessuno se ne ricordava più.
Sarà infine un magistrato con simpatie a sinistra, l’allora giudice istruttore Gerardo D' Ambrosio, a indagare sulla morte, dopo il volo dalla finestra della questura, dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Egli prosciolse Calabresi e gli imputati dall' accusa di omicidio. D'Ambrosio, il cui intervento nell'istruttoria era stato chiesto a gran voce da chi temeva che la verità fosse inquinata, scrisse: «L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli». Tutti gli imputati, agenti e funzionari di polizia, furono prosciolti con formula piena «perché il fatto non sussiste». Sussistette invece per molto tempo l’astio vendicativo di una schiera di intellettuali - succubi alle circostanze del momento - che abdicarono alla loro superiore missione culturale.
Siamo in tempi appena post-natalizi, avremmo bisogno di pace e serenità… e forse anche di mettere in archivio storie come queste, dopo però averle conosciute bene. La necessità di questa approfondita conoscenza fortunatamente non è sostenuta solo da qualche nostalgico, ma anche da importanti storici, come Marcello Flores che nel suo recente saggio intitolato provocatoriamente “Cattiva memoria” (il Mulino, 2020) sostiene che occorre dedicarsi alla buona ''memoria'', perché c’è sempre bisogno di “una narrazione storica rispettosa della verità”. Anche il titolo dell’ultimo libro di Mario Calabresi porta un titolo che turberà la quiete dei benpensanti: “Quello che non ti dicono” (prima edizione, ottobre 2020).

Nicola Zoller – collaboratore della storica rivista ‘Mondoperaio’, fondata da Pietro Nenni.



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