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SUI DOVERI DEGLI ITALIANI -UCT - Novembre 2022

NOTERELLE» SCETTICHE SUI DOVERI DEGLI ITALIANI
-di Nicola Zoller
rivista UCT - N. 563 Novembre 2022

La via dei doveri di Giuseppe Mazzini / I doveri nella Costituzione repubblicana / L’istruzione come investimento più vantaggioso / Politica meno deludente per favorire il voto elettorale / Il diritto-dovere di reagire agli aggressori / Tasse corrispondenti alla efficienza della Stato, ma no flat tax con aliquota unica / La disciplina e l’onore di politici e cittadini…


Parlare di «doveri» e di giusto equilibrio con i nostri «diritti» è un affare impegnativo in un’epoca in cui prevalgono gli uni sugli altri. Allora ci facciamo guidare in questo articolo dalla considerazione espressa fin dalla metà dell’Ottocento da un grande patriota e rivoluzionario, Giuseppe Mazzini, nel suo saggio “Dei doveri dell’uomo”: per quell’apostolo laico era necessario in primo luogo «indirizzarsi sulla via dei doveri, da cui soltanto i diritti possono scaturire».
Con questo ausilio ideale, possiamo chiederci quali possano essere i nostri doveri. C’è una fonte primaria valevole per tutti: è la nostra Costituzione, che intitola la sua prima parte – quella ritenuta irrinunciabile – proprio come «Diritti e doveri dei cittadini». Da qui procedo dunque ad elencare i doveri richiamati.
Art. 30: «E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». Art. 34: «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita». Articolo 48: «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico». Art. 52: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». Art. 53. «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Art. 54: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
I commenti potrebbero essere sterminati. Ci limitiamo a qualche interrogativo e appunto. Quanti genitori assolvono il dovere di mantenere, istruire e educare i figli? In molti lo fanno, ma i tribunali sono spesso chiamati ad intervenire su genitori che sfuggono a questo dovere per negli-genza, o magari per caricarlo sulle spalle del genitore con cui si ha un contenzioso, o per casi di estrema indigenza. Quanto all’istruzione, la Costituzione chiarisce che non è soltanto un diritto ma un obbligo, almeno quella fino a otto anni di durata. Si vuole sottolineare che ogni cittadino deve essere in grado di leggere, scrivere, capire, sapersi confrontare con gli altri. Purtroppo è un compito difficile, se le statistiche dicono che il 70 per cento degli italiani non sanno capire quello che legge (e «probabilmente quello che vota», aggiungeva sarcastico il più grande dei nostri linguisti Tullio De Mauro). Dovremmo ricordare sempre alle famiglie e alla Stato che spendere per l’istruzione dei figli e dei cittadini è l’investimento più vantaggioso.
Se passiamo al voto come dovere civico, in Italia siamo all’allarme: alle ultime elezioni politiche del settembre 2022 più di un terzo dell’elettorato non si è recato a votare, con un calo di nove punti percentuali rispetto alle elezioni del 2018. Di chi la colpa? Se l’offerta politica delle liste elettorali in campo è deteriorata, anche la risposta può essere deludente. Ma pensando a quanto è costato raggiungere per tutti e per tutte questo diritto di voto, anche il cittadino più disincantato o menefreghista dovrebbe assolvere quel dovere: senza peraltro mandargli in casa i militari per indurlo a votare (questo succede nei regimi dispotici o in stato di guerra, come avvenuto per i recenti referendum imposti dalla Russia nell’Ucraina orientale). Tanto che nel nostro ordinamento repubblicano l’esercizio del voto è un dovere civico, ma non un obbligo giuridico con conseguenti sanzioni a carico dei non votanti.
In tempi di guerra alle soglie dei confini europei, l’art. 52 squilla come un monito: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli» precisa l’art. 11 della Co-stituzione, ma in caso di aggressione ognuno è chiamato a difendere la Patria come «sacro dove-re»: è la premessa morale in base alla quale ai cittadini può essere richiesto anche il sacrificio su-premo della vita; ma è anche il principio etico universale per cui va riconosciuto a tutti i Paesi ag-grediti il diritto/dovere di reagire agli aggressori.
Giungiamo ora con l’art. 53 ad un punto dolentissimo: pagare le tasse. È lontano da noi pensare che le tasse siano «una cosa bellissima». No, non è una questione di simpatia: pagare le tasse è un dovere per contribuire – sulla base del proprio reddito e patrimonio – alle spese pubbli-che (sanità, scuola, servizi amministrativi e sociali, investimenti in strutture e infrastrutture pubbli-che, etc.). E i tributi si dovrebbero pagare, annuncia il secondo capoverso dell’art. 53 secondo «criteri di progressività»: cioè l’aliquota delle imposte non sarà costante, ma crescerà con l’aumentare della ricchezza considerata. Insomma non dovrebbe esserci spazio per flat tax (tassa piatta) che appiattiscano le tasse su un’aliquota unica. Ma a quest’obbligo per il cittadino dovreb-bero corrispondere i doveri dello Stato e delle pubbliche amministrazioni ad effettuare «spese pubbliche» adeguate. Eppure non sempre è così, e allora l’evasione fiscale è la parallela disgrazia che incombe su un Paese come il nostro a giustificazione della mancata efficienza degli apparati pubblici; con l’aggravante che taluni sono costretti a pagare le tasse alla fonte dei propri redditi, come i lavoratori dipendenti percettori di reddito fisso anche se i servizi pubblici latitano, mentre altri sono più liberi (sentendosi in ciò giustificati…) di sottrarsi ai doveri previsti dall’art. 53.
Giungiamo infine al fatidico art. 54. Dico e scrivo fatidico in quanto «capace di rivelare il futuro, con una sfumatura di grandiosità» come suggerisce la spiegazione del dizionario a questo aggettivo. I padri costituenti tra il 1946 e 1948 possono aver usato le parole altisonanti, come quelle del dover essere «fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi» come un buon auspicio, conoscendo i limiti della natura umana e specialmente quelli degli italiani. Mai però avrebbero pensato che l’altra prescrizione dell’art. 54 – quella che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche «il dovere di adempierle con disciplina e onore» – si sarebbe rivelata come più problematica. Limitandoci a segnalare l’ultimo eclatante esempio di indisciplina e disonore, possiamo citare l’indecoroso «cambio di casacca» che ha interessato fino ad un terzo dei parlamentari della legislatura 2018-2022. Qui è bene rimarcare che non esiste un divieto costituzionale o di legge a cambiare gruppo parlamentare dopo che gli elettori hanno eletto un candidato per un determinato partito: anzi, il «vincolo di mandato», cioè un questo caso l’obbligo a non cambiare gruppo politico di appartenenza o di essere obbligati a votare in Parlamento secondo le sue direttive, è escluso da tutte le costituzioni liberali e democratiche per garantire ai singoli parlamentari una piena libertà e autonomia di giudizio. Ma qui si tratterebbe di rispettare una disciplina morale, che è predeterminata all’azione politica, un dovere dai contorni «religiosi» come avrebbe detto Giuseppe Mazzini. Non a caso per lunghi decenni, nei primi cinquant’anni del secondo dopoguerra, è risultato implicito il dovere di rispettare il mandato degli elettori: tanto che nella cosiddetta (e fin troppo bistrattata) prima Repubblica, i «cambi di casacca» parlamentare si sono contati sulle dita delle mani, diventando invece una indisciplinata pratica negli ultimi vent’anni.
Ma l’indisciplina e il disonore non sono prerogative di una schiera di eletti: ci sono ormai fi-le di cittadini comuni che si sottraggono non tanto alle leggi, che tutti dovremmo rispettare, ma a una disciplina morale che un tempo veniva intimamente rispettata. Ce l’ha ricordato nel recente ottobre 2022 Massimo Gramellini in prima pagina sul “Corriere della Sera”. Scrive: «C’era una volta un’Italia che non credeva in nulla, come adesso, ma venerava le due figure che rappresentavano lo Stato laico: il Medico e il Maestro. La salute e l’istruzione pubblica erano un vanto e una conquista, e coloro che le incarnavano godevano di stima diffusa e del rispetto generale… Poi è successo qualcosa, o forse di tutto. Sta di fatto che la ribellione di massa contro le autorità costituite ha riguardato soprattutto quei due ruoli». Così – riassumiamo noi – non passa giorno senza che ci tocchi apprendere di casi di disprezzo e di insolenza come quelli contro un giovane medico di Pronto soccorso strattonato da pazienti e parenti o contro un professore che osa mettere una nota ad uno studente… Ma ci sono casi e casi ancor più seccanti che in questa “noterella” scettica non arriviamo a riportare.




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