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Classe dirigente in TRENTINO - sept.2023

Classe dirigente:
IN TRENTINO MANCA QUELLO CHE MANCA AL PAESE
-di Nicola Zoller
RIVISTA UCT - AGOSTO 2023

In Trentino viviamo in un contesto fervido tra organismi scolastici e universitari di buon livello, centri di ricerca d’eccellenza, istituzioni museali uniche nelle loro specialità su scala nazionale. Cosa manca dunque al Trentino, che detiene tra l’altro una condizione di vivibilità tra le migliori d’Italia? Manca quello che manca al Paese: numero di laureati, dirigenti pubblici e privati competenti, forze politiche strutturate…

-di Nicola Zoller

Il problema della nostra classe dirigente non è questione da esaminare solo con gli occhi rivolti al Trentino: il contesto dev’essere più ampio, ultraregionale, se non nazionale.
Se partissimo però solo dall’esame di un settore basilare, quello dell’istruzione – basilare, perché lì sta la fucina che forgia tutta la classe dirigente, politica, amministrativa, delle categorie professionali ed economiche – il Trentino si troverebbe in una buona posizione. Secondo INVALSI – l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione – «la scuola trentina è ai vertici», titolava “il T quotidiano” del 13 luglio 2023, dalle elementari alle superiori, sia per l’italiano che per la matematica, ma anche le prove di inglese «confermano comunque il Trentino ai vertici della classifica nazionale». Riassumendo invece la situazione delle lauree e dei diplomi, in Trentino su 549.000 abitanti ci sono 83.641 laureati e 210.769 diplomati (dati dell’Istituto statistico della Provincia, riportati dal giornale “l’Adige” dell’11 luglio 2023). Più della metà dei trentini e delle trentine (sì, perché le laureate sono 46.507 contro 37.134 laureati, un dato anche questo incoraggiante) si situano dunque ad un livello di istruzione superiore. E se si devono compiere ancora tanti passi avanti (come vedremo più avanti in questa nota), bisogna riconoscere l’enorme avanzamento registrato dal 1961, l’anno da cui parte la statistica disponibile: per le lauree fatto 100 l’indice del 1961 si è arrivati a 2.375 nel 2021. Resta ancora una sacca avvilente di analfabetismo, pari a 1.012 analfabeti, il 2 per cento della popolazione, ma la situazione è incomparabile con quella di cinquant’anni fa.
C’è poi la situazione dell’ Università attuale. Ebbene, «l'Università di Trento guida la classifica 'medi atenei' statali e scalza Siena in vetta all'elenco», sintetizza un editoriale de “ilDolomiti.it” riportando le graduatorie elaborate dall’istituto nazionale CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali), diventate un appuntamento annuale a supporto dell'orientamento di migliaia di studenti pronti a intraprendere la carriera universitaria. Quell’istituto di ricerca socio-economica propone un’articolata analisi del sistema universitario basata sulla valutazione degli atenei (statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensioni) relativamente a strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio e altri interventi in favore degli studenti, livello di internazionalizzazione, comunicazione e servizi digitali, occupabilità. Inoltre i dati provvisori riferiti all’anno accademico 2022/2023 evidenziano un aumento delle immatricolazioni del 2,2%, cioè 7.152 neoiscritti in più. Intervistato da “il Dolomiti”, il rettore Flavio Deflorian può dichiarare: «Ciò che ci fa particolarmente piacere non è tanto il fatto di aver di nuovo raggiunto la prima posizione tra gli atenei di medie dimensioni: questo è un risultato che in passato l’Università di Trento ha raggiunto più volte. Quello che ci fa capire che stiamo lavorando nella direzione giusta è soprattutto il punteggio, in netto miglioramento, oggi tra i più alti in assoluto di tutte le categorie. Leggo questo risultato – aggiunge Deflorian – come lo specchio di un ateneo dinamico e in crescita. La vera gara, infatti, non è con gli altri atenei, ma con noi stessi per continuare a migliorare. E in questo senso oggi festeggiamo il primato della miglior valutazione – il massimo dei voti – su uno dei punti che ci stanno più a cuore: l’internazionalizzazione».
Apriamo poi, in questa concisa e colpevolmente incompleta rassegna, la segnalazione dei Centri di ricerca e delle istituzioni Museali che costituiscono la base a cui può attingere la società civile trentina e extraprovinciale, attuale e ventura. Oltre alla propulsione assicurata dall’Università di Trento alla ricerca e all’innovazione attraverso le proprie IR (Infrastrutture di Ricerca), va debitamente indicata la Fondazione Bruno Kessler (FBK), ente di ricerca della Provincia Autonoma di Trento operante nel campo scientifico-tecnologico e umanistico, classificata tra i centri top a livello internazionale; come va menzionata la Fondazione Edmund Mach (FEM) per la ricerca scientifica in campo agrario, emanazione dell’Istituto Agrario di San Michele fondato nel 1874: le ricerche di Università, FBK e FEM sono poi valorizzate dalla Fondazione HIT (Hub Innovazione Trentino) individuando i fabbisogni di innovazione delle imprese e affiancando la crescita da una nuova imprenditorialità high-tech.
L’offerta di rilevanti supporti culturali e formativi può continuare con la citazione dei Musei. Partiamo dal MUSE , il museo delle scienze di Trento, che raccoglie l’eredità del Museo Tridentino di Scienze Naturali: racchiude sei piani di «pura meraviglia» dedicati alla natura alpina, all’origine della vita, all’innovazione e alla sostenibilità, con l’aggiunta di un gruppo di ricerca naturalistica – il più grande d’Italia – con una quarantina di operatori; come ha affermato il direttore Michele Lanzinger in una intervista a UCT «non è solo un museo naturalistico ma anche un centro scientifico, attivatore di economia in collegamento con gli operatori culturali e del turismo». Possiamo continuare col MART, il Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto; concepito con l'idea di polo culturale più che museo tradizionale, rappresenta ai massimi livelli nazionali le sembianze e i lineamenti della contemporaneità. Segnaliamo infine la Fondazione Museo storico del Trentino che si occupa di ricerca, formazione e divulgazione della storia e della memoria del Trentino e del Tirolo storico; il Museo Storico Italiano della guerra di Rovereto, una delle principali istituzioni italiane dedicate alla Prima guerra mondiale; fermandoci infine al METS – Museo etnografico trentino di San Michele all’Adige – considerato, per le tecnologie popolari rappresentate, il più importante d'Italia e tra i più significativi d'Europa.
Viviamo dunque in un contesto fervido – tra organismi scolastici e universitari di buon livello, centri di ricerca d’eccellenza, istituzioni museali uniche nelle loro specialità su scala nazionale – e per l’interazione con le attività di lavoro, studio e ricerca del mondo contemporaneo.
Cosa manca dunque al Trentino, che detiene tra l’altro una condizione di vivibilità tra le migliori d’Italia? Manca quello che manca al Paese. E allora anche i nostri discorsi sulle qualità trentine si calano in un contesto complessivamente problematico. Noi potremmo sostenere di essere in buona posizione rapportandoci con le altre province italiane, anche grazie alle competenze e alle risorse finanziarie che derivano dal nostro Statuto d’Autonomia. Ma nel confronto europeo restiamo comunque arretrati come nazione e conseguentemente come provincia.
1) I laureati sono il 28 per cento dei cittadini italiani tra 25 e 64 anni, contro il 44 per cento europeo. La Fondazione Openpolis, che si dedica a raccogliere e confrontare dati di utilità sociale, sostiene che incrementare la quota di laureati rappresenta una sfida cruciale per i prossimi anni. In un mondo del lavoro sempre più competitivo aumenta il livello di conoscenza richiesto per essere occupati, e con esso l’importanza del percorso di studi. Maggiori competenze consentono ai singoli individui di aspirare a migliori posizioni lavorative, riducendo il rischio di ricadere nell'esclusione sociale. Infatti chi ha una laurea o un titolo assimilato registra un tasso di disoccupazione inferiore della metà rispetto a chi non ha tali titoli. Aggiungiamo che se solo il 55 per cento della popolazione possiede abilità digitali, diventa poco il lavoro per chi ha bassa istruzione in questo campo.
2) Abbiamo una classe dirigente amministrativa, politica e professionale con competenza scarsa. Il prof. Galli della Loggia in un editoriale del 18 luglio 2023 ha parlato di «un declino abbastanza impressionante nella preparazione culturale, nella capacità di orientamento e di direzione, nei comportamenti, perfino nella proprietà di linguaggio». Ma non è solo un vizio dei vertici, aveva già osservato in una ricerca del 2021 lo studioso e scrittore Sabino Cassese: è un riflesso di quanto succede nella società, dove si è diffuso recentemente il dispetto per il merito. Proclamare che 'uno vale uno', mette tutti sullo stesso piano, «molti oggi coltivano l’ignoranza, rifiutano la scienza e la razionalità, mostrano una vera e propria ostilità per la conoscenza, hanno un arrogante atteggiamento anti-intellettualistico». E in questa deriva il 70 per cento degli adulti non è in grado di comprendere adeguatamente testi lunghi (si fermano al frasario breve dei social) e informazioni matematiche.
3) Sul problema della formazione della classe dirigente – segnatamente nel campo politico – il prof. Cassese spiega ancora: «C’erano una volta grandi associazioni della società civile, sindacati e partiti, che univano milioni di iscritti (circa il 20 per cento della popolazione vi aderiva), i quali si incontravano, discutevano, sceglievano programmi, selezionavano persone, andavano in piazza a far sentire meglio la loro voce, competevano, formavano con apposite scuole iscritti e seguaci, esprimevano la propria opinione su tutto, erano mossi da radicate ideologie, coltivate da intellettuali, oltre che da politici di mestiere, disponevano di giornali... Tutto questo ora è svanito».
Eppure sarebbe stato importante continuare a coltivare questo rapporto cittadi-ni/associazioni/partiti, questa esperienza nella società, altrimenti si sviluppa un neo-individualismo, favorito dal web, che impedisce la crescita di una nuova classe dirigente. Le democrazie hanno bisogno di quest’ultima, la quale può svilupparsi solo con istruzione, competenza, esperienza nella società. Creare una élite non è contrario allo spirito democratico, ma occorre dare a tutti la possibilità di accedervi, altrimenti si finisce per dar spago a chi non crede al valore del merito.
4) Cosa è più utile fare? Studiare. Dall’istruzione dipende l’avvenire di ciascuno e di tutti. Lo ribadisce Galli della Loggia. E se è importante la formazione scientifica e digitale, ancor maggiore dovrebbe essere – per chi aspira a dirigere la società, le professioni e le imprese – l’interesse per le materie umanistiche, per la storia in particolare: senza conoscere la storia si è ciechi. «La miglior ragione per studiare sul serio la storia – ha scritto lo storico Philip Jenkins – è che praticamente tutti usano il passato nelle discussioni quotidiane», anche sul lavoro. E se si vuole essere degli innovatori creativi, si segua il consiglio di un altro grande storico e divulgatore, Ernst Gombrich: «Chi vuol fare qualcosa di nuovo deve prima conoscere a fondo il passato». A Roma, a Bruxelles e… a Trento.





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