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VERSO IL PARTITO RIFORMISTA
20.3.04

Dal documento politico per il Congresso nazionale dello S.D.I. - 2,3 e 4 aprile 2004: sintesi introduttiva proposta dal segretario Sdi del Trentino

“Far incontrare sistematicamente il riformismo laico e democratico, cattolico e socialista, chiedendo a Margherita, Ds e Sdi di rinunciare alle proprie sigle in modo paritario senza pretese egemoniche degli uni sugli altri, per costruire assieme a tutti i riformisti della società civile un’opera più grande. Un’opera che riunisca filoni culturali e ideali che interagiscono da tempo su scala nazionale e locale, facendoli lavorare secondo i metodi e i programmi del gradualismo riformista europeo in una più forte organizzazione comune”.

Care compagne, cari compagni,
in vista del congresso nazionale del partito dei SOCIALISTI DEMOCRATICI ITALIANI, la direzione provinciale del partito ha proposto di tenere l’assise provinciale di oggi da dedicare alla discussione delle tesi congressuali nazionali e alla prospettiva del PARTITO RIFORMISTA - come recita il titolo delle medesime. Mentre è stato proposto di dedicare un successivo momento congressuale alle questioni provinciali, quando terremo – grazie all’opera preparatoria di un “Gruppo di lavoro” al quale possono partecipare tutti i compagni attivamente disponibili e che oggi segnaleranno questa disponibilità – una apposita assise con la quale proveremo a rilanciare la nostra presenza di stimolo politico e programmatico in Provincia.
Vorrei però riportare – a titolo di memoria – alcune considerazioni espresse pubblicamente nel novembre 2003, dopo l’esito molto negativo delle elezioni provinciali per noi socialisti: lo faccio perché non si può parlare concettosamente del resto, dunque delle questioni nazionali, senza passare dalla più prosaiche e… penose vicende locali; ma per imprimere su queste pene il segno di una prospettiva futura nuova, più giusta e corrispondente alle aspirazioni del nostro elettorato e della società trentina.
Dunque, scrivevo il 16 novembre scorso…

I socialisti trentini non sono all’anno zero e lavorano per un futuro migliore per tutti
I Socialisti trentini hanno perso una battaglia alle elezioni provinciali di ottobre, ma non sono “all’anno zero” .Vanno avanti con una storia onorevole alle spalle e con davanti una prospettiva europea. Su scala nazionale – proprio in vista delle elezioni europee – si sta costruendo la “Casa dei riformisti” che dovrebbe portare ad unità i riformisti “cattolici, socialisti e della sinistra democratica”. Parteciperemo a questo lavoro, oltre che per convinzione anche perché partiremo tutti su un piano di parità: Margherita, Sdi e Ds rinunceranno alle proprie sigle per costruire un’opera più grande.
In Trentino invece alle recenti elezioni provinciali ognuno è andato per proprio conto. Qui la Margherita è una “lista civica” territoriale, recisamente autoreferenziale e autosufficiente; i Ds al massimo davano agli altri l’opportunità di farsi inglobare, come è successo alla cosiddetta “Ape”; noi socialisti abbiamo provato in verità a promuovere delle alleanze paritarie, non subalterne. Si ricorderà che ai primi di luglio avevamo proposto formalmente – con un intervento pubblico - una “lista unica Laici – Riformisti – Socialisti”; e ciò non era una iniziativa improvvisata, ma seguiva un discorso avviato fin dall’autunno 2002. Eravamo cioè disponibilissimi a rinunciare al nostro “particulare” partitico per fare una cosa più ampia, insieme ad altre forze di comune ispirazione, disponibili a creare una alleanza di liberi ed eguali. Non ci ascoltarono né i repubblicani né l’Ape. Andammo avanti allora necessariamente – quindi non da ignari sprovveduti - con la nostra lista dei “Socialisti Insieme”, che tentava convintamene di offrire un messaggio unitario almeno alla nostra area, portandola tutta nell’alveo storico del centro sinistra autonomista. Non siamo stati votati in modo adeguato ed è un peccato. E’ pur vero che il nostro elettorato è più esigente di altri: se i trentini hanno permesso a Mario Malossini di riciclarsi, su di noi hanno continuato a far pesare la vicenda nazionale di Tangentopoli. Tanto che – secondo un noto commentatore – presentare la lista Socialista come se nulla fosse accaduto dall’operazione “mani pulite” del 1993, è diventato “un po’ patetico…, un lusso che in politica non ci si può permettere”. Va bene, accettiamo questa pena, pesante, sproporzionata (anche se – aggiungiamo – dai tempi dell’illuminista Cesare Beccarla le “pene” dovrebbero essere commisurate ai “delitti” effettivamente commessi e non smodatamente distribuite e accentuate: altrimenti con quale giustizia, con quale umanità avremmo a che fare?). Eppure sarebbe stata ancora utile una nostra presenza nelle istituzioni, nelle quali avremmo aggiunto alle altrui sensibilità quella radicata nostra vocazione a stare a fianco di chi ha più bisogno di altri – per il lavoro, per la casa, per la salute – aggiungendo quella nuova (e anch’essa antica) propensione a favorire la crescita del “sapere” collettivo, della formazione professionale permanente, dell’accesso più esteso all’Università, della ricerca scientifica e tecnica per garantire un futuro sicuro al nostro tessuto produttivo. Questa mancata presenza non fermerà comunque – come detto – il nostro impegno. Ho scritto una lettera ai nostri compagni candidati, per ringraziarli doverosamente, aggiungendo: “A volte la cronaca e la storia ci affidano il compito di fare solo testimonianza, senza poter avere una rappresentanza istituzionale che intervenga direttamente sui fatti. Ebbene, i socialisti, che nella loro esperienza centenaria sono passati per tante fasi positive e negative, sapranno superare anche questo momento difficile, sorretti dalla adesione ad una idea che ha una bella tradizione e una buona prospettiva su scala europea”. Ripartiremo dagli oltre cinquemila voti accordatici, prendendo atto dei nostri limiti, ma orgogliosi di poter portare in un processo più ampio i valori più nobili di una importante esperienza politica.
(16 novembre 2003)

Ecco compagni, in queste riflessioni post-elettorali dell’autunno scorso, veniva richiamata la prospettiva politica che poi si è via via imposta: la prospettiva più ampia del partito riformista. Qui riporto gli estratti più significativi delle tesi congressuali.

VERSO IL PARTITO RIFORMISTA


Gli antichi valori di libertà, di giustizia sociale e di pace, che hanno caratterizzato sin dalle origini il movimento socialista, socialdemocratico e laburista, sono tuttora validi. Le grandi trasformazioni, quelle avvenute nello scorso secolo e quelle in atto, non ne hanno intaccato i principi fondamentali. Ciò è avvenuto perché il socialismo democratico ha saputo rinnovarsi, non è rimasto impigliato in un corpo dottrinario fisso e immodificabile, è riuscito a interpretare bisogni e esigenze di società in continuo mutamento.
Nello scorso secolo il socialismo democratico ha vinto la doppia sfida che aveva di fronte: verso il capitalismo autoritario e verso il totalitarismo comunista. I socialisti hanno costituito la forza politica più coerente e cosciente. Ferma, vigorosa e straordinaria è stata la partecipazione del socialismo democratico alla lotta antifascista e contro il nazismo. L’olocausto, nel suo profondo orrore, ha smosso le coscienze, ha rimosso inerzie e apatie, ha spinto verso l’affermazione dei diritti umani contro ogni sorta di discriminazioni di etnia, di religione o di concezione di vita, di sesso, di reddito, di status sociale.
L’affermazione della dignità di ciascun essere umano è il fondamento del socialismo democratico. Mantenendo inalterati i principi essenziali, i socialisti democratici non sono restati, però, arroccati dentro un fortino ideologico, difeso da dogmi sacri e inviolabili. Al contrario, il socialismo democratico è stato permeato dall’influenza di nuove e antiche correnti politiche e di pensiero: dal liberalismo al cristianesimo sociale fino all’ambientalismo. Questa caratteristica aperta e pluralistica costituisce la maggiore garanzia sulla possibilità che il socialismo democratico possa svolgere ancora un ruolo importante nel futuro.
Il socialismo democratico non è stato mai – e non ne ha neppure preteso l’esclusiva – l’unica corrente politica e di pensiero che si sia impegnata sul fronte della libertà, della giustizia sociale e della pace. Già nello scorso secolo liberali progressisti, cristiano sociali e ambientalisti riformisti hanno condiviso con i socialisti democratici i medesimi obiettivi politici e programmatici. Questa convergenza di fondo non è, quindi, una novità. Del resto, il grande progetto del Welfare State non si è nutrito solo delle idee socialdemocratiche, ma è stato alimentato da indicazioni ed elaborazioni di provenienza e di origine tra le più diverse (gli apporti più significativi alla definizione di una politica economica progressista e alla costruzione dello stato sociale sono stati quelli di due liberali inglesi, Keynes e Beveridge).

Un nuovo internazionalismo progressista
All’apertura del nuovo secolo, si pone il tema assai rilevante di una sempre più stretta cooperazione a livello internazionale e – per quanto ci riguarda più da vicino – su una scala europea di tutti i movimenti, le associazioni e i partiti che condividono valori e principi comuni. Questa, del resto, è stata l’aspirazione che ha avuto l’Internazionale Socialista sotto l’impulso di Willy Brandt e che oggi si è in larga parte realizzata: nell’Internazionale convivono, infatti, formazioni che non possono essere ricondotte all’antica matrice socialdemocratica: da movimenti di liberazione nazionale a partiti ex comunisti e a forze generalmente progressiste. Proprio in occasione dell’ultimo Congresso dell’Internazionale Socialista a Sao Paulo in Brasile, si è stabilito un legame di collaborazione con una importante associazione, radicata nel partito democratico americano e si sono realizzate ulteriori rapporti con partiti progressisti, esistenti nel terzo mondo ed esterni alla socialdemocrazia come quello diretto dal presidente Lula. Si tratta di ulteriori passi in avanti che tuttavia non sono ancora risolutive per dare una nuova fisionomia dell’Internazionale, come organizzazione di tutti i progressisti.
Questo processo è destinato a svilupparsi, e l'Internazionale socialista è destinata ad ampliarsi, poiché i cambiamenti avvenuti hanno assai ridotto le distanze tra le varie forze progressiste nel mondo. Ora, tuttavia, non è sufficiente che questo rapporto resti solo sul piano delle alleanze politiche e delle solidarietà internazionali. Il socialismo democratico è pronto a ulteriori innovazioni che lo mettano in sintonia con le grandi trasformazioni in atto e consentano una crescita della sua influenza e dei suoi rapporti politici: con il superamento di una vecchia concezione statalista il socialismo democratico ha sposato i principi del liberalismo; andando oltre un’antica visione industrialista, ha abbracciato i valori dell’ambientalismo; con l’abbandono di un angusto clericalismo ha riscoperto l’importanza dei valori religiosi nell’ambito di una visione laica della società, accettata da tutti i cittadini, credenti e non credenti.

Verso un gruppo europarlamentare progressista
In queste condizioni si può realizzare una più forte convergenza tra socialisti, cristiano-democratici di centro sinistra, liberali progressisti e Verdi, che dia vita ad un gruppo europarlamentare dopo il prossimo voto di giugno, in grado di contrapporsi al partito popolare europeo. Così si potrebbe costruire la Casa dei riformisti europei.
Del resto, qualsiasi partito deve fare i conti con la nuova velocità della politica, che non ammette il ristagno in vecchie idee, il puro e semplice mantenimento di antiche tradizioni, la ripetizione di schemi politici e programmatici, validi nel passato e ormai obsoleti nel tempo presente, pena l'emarginazione e, a lungo andare, l'estinzione.

Riforme socialiste e riforme borghesi
Il nuovo riformismo, portato avanti dalle socialdemocrazie, non è diverso da quello perseguito da altre formazioni progressiste. Una volta il riformismo socialista si differenziava nettamente da quello borghese: lo scopo dei socialisti riformisti, sin dal primo revisionismo di Eduard Bernstein, era quello di arrivare gradualmente a un superamento pacifico e democratico del sistema capitalista. L’uso della violenza, come ben mise in evidenza Filippo Turati nel suo discorso profetico al Congresso socialista di Livorno, era il principale discrimine tra riformisti e rivoluzionari.
Da tempo le socialdemocrazie hanno accettato l’economia di mercato, escludendo esplicitamente di perseguire un modello radicalmente alternativo. Certo, persiste tra i socialdemocratici un rifiuto della società di mercato, come disse Lionel Jospin quando era ancora premier della Francia, nel senso che i socialdemocratici non devono accettare una completa mercificazione di tutti i rapporti sociali. Tuttavia questa affermazione, che ha innanzi tutto un forte contenuto etico, non è solo fatta propria da correnti della socialdemocrazia, ma anche da settori del cristianesimo sociale, dell’ambientalismo ed anche del liberalismo progressista. Anzi oggi i socialdemocratici, abbandonando l’equivalenza – a suo tempo sostenuta – tra intervento pubblico ed espansione della democrazia – si pongono nell’affrontare il tema delle riforme sullo stesso piano dei progressisti che non sono socialdemocratici.
Resta invece valida la distinzione tra sinistra e destra: la prima tende a realizzare maggiore uguaglianza anche a detrimento di una maggiore crescita economica; la seconda tende a mantenere un ampia gamma di disuguaglianza poiché in tal modo si favorirebbe meglio la concorrenza e lo sviluppo. Da ciò si può dedurre che le riforme dei riformisti, socialisti o progressisti che siano, sono quelle che vogliono maggiore uguaglianza senza tuttavia ad arrivare a irrigidire la società in una totale uniformità e a un generale appiattimento.

La debolezza storica dei riformisti
In Italia i problemi della sinistra sono per ragioni storiche molto più complessi e difficili da affrontare e risolvere. Il riformismo ha avuto sempre una tradizionale debolezza. Manca tuttora oggi in Italia un grande partito socialdemocratico. Non ha più una forte consistenza elettorale il partito che trae origine dal movimento socialista italiano com’è lo Sdi, erede di quanto è rimasto di vivo e vitale del Psi e del PSdi. Lo Sdi è riuscito spesso a spingere verso l’innovazione il centro sinistra, ma non può certo pensare di essere in grado da solo d’imporre il rinnovamento che sarebbe necessario. I Ds, che nascono da una profonda trasformazione del Pci, e che appartengono da tempo all'Internazionale socialista e sono stati cofondatori del partito socialista europeo, non riescono ancora a esprimere tutto il loro potenziale riformista, ostacolato dalle forti resistenze esistenti nel loro mondo di riferimento, soprattutto quello intellettuale. Nella storia d’Italia, come a suo tempo osservò Norberto Bobbio, gli intellettuali siano restati spesso affascinati da avventure e da regimi di tipo autoritario. Comunque, è positivo che molti intellettuali italiani, che appartengono alla generazione del sessantotto, siano passati dalla contestazione del sistema a posizioni di strenua difesa dei principi liberali. Il riformismo ha avuto in Italia, comunque e sempre, una vita difficile. Minoranze particolarmente attive sul piano politico si presentano spesso, proprio per il antagonismo ai “politici di professione” e ai partiti, come autentici interpreti della cosiddetta società civile. Attraverso questa “maschera”, che tra la gente comune assume l’aspetto puro e semplice del qualunquismo, portano avanti posizioni radicali, se non estreme, che non sono affatto condivise dalla “zona grigia”, quella degli indecisi, che vorrebbero rappresentare. In questo modo la società civile apolitica o spoliticizzata viene rappresentata da élite iperpoliticizzate che hanno spesso militato negli stessi partiti tradizionali e che in taluni casi hanno assunto ruoli dirigenti e comunque di rilievo. In questo modo si determina una distorsione ottica nella quale i riformisti appaiono ancora più isolati di quanto in realtà lo siano nei confronti della società civile. Non ha, quindi, tutti torti Ernesto Galli della Loggia quando sul “Corriere della Sera” registra così questa situazione: “Ciò che colpisce non è tanto la solitudine politica del riformismo, quanto la solitudine sociale”. Per comprendere queste difficoltà, basta riflettere sulla stessa storia della sinistra italiana.Nel nostro Paese, esistono ancora ben due partiti che si richiamano al comunismo: i Comunisti italiani di Cossutta e Diliberto, che rivendicano l'ortodossia più dogmatica del vecchio Pci, e Rifondazione Comunista di Fausto Bertinotti, che cerca di raccogliere le istanze libertarie dei movimenti di contestazione. A questa situazione, per complicare le cose, si aggiunge un partito attorno all'ex pm di “Mani pulite” che si è presentato alle ultime elezioni politiche in una posizione autonoma rispetto all'Ulivo e a Berlusconi e che oggi cavalca, con la partecipazione di Achille Occhetto, non solo i suoi tradizionali temi, giustizialismo e “legge e ordine”, ma anche le istanze più estreme del movimento pacifista, soprattutto per fare concorrenza ai Ds.


L’appello di Romano Prodi
Dal congresso di Genova, lo Sdi aveva indicato come prospettiva strategica da perseguire la costruzione della Casa dei riformisti. Allora questa nostra indicazione, che traeva origine da una suggestione espressa da Romano Prodi, fu considerata una sorta di fuga in avanti. I fatti, come diceva Pietro Nenni, si sono incaricati di darci ragione. Ciò che appariva una vaga utopia è oggi una prospettiva concretamente realizzabile: con la lista Prodi, formata dai Ds, dalla Margherita, dallo Sdi e dai Repubblicani europei, e con il concorso di numerose associazioni appartenenti alla società civile, si è aperta una strada nuova. Nel prossimo congresso di Fiuggi, lo Sdi confermerà e approfondirà la scelta strategica compiuta a Genova. Siamo per primi consapevoli che la lista Prodi è solo una prima tappa che realizza una “cooperazione rafforzata” tra riformisti e riformatori. Lo sviluppo di questa strategia, che fa perno sull’Ulivo, è tuttavia, come è giusto che sia, nelle mani delle elettrici e degli elettori che voteranno nella prossima consultazione elettorale europea del prossimo giugno. Diventa essenziale, come ha ripetutamente sottolineato Michele Salvati, che la lista Prodi si presenti con un forte respiro ideale e strategico, condizione essenziale per essere promossa dal voto dei cittadini. Da parte nostra, puntiamo alla costruzione di un vero e proprio nuovo soggetto politico. Se l'operazione avrà successo elettorale, si vedranno quali dovranno essere le forme che dovrà assumere: una federazione di partiti, ciascuno dei quali deleghi una quota della propria sovranità ad una leadership comune; oppure un vero e proprio partito che si dia una struttura completamente innovativa rispetto a quelle tradizionali, conosciute finora nel nostro Paese. Tutta questa costruzione strategica si fonda sull'Ulivo che è diventato il simbolo dell'innovazione, dell'unità e delle riforme. Si tratta di una prospettiva che da tempo Romano Prodi porta avanti con coerenza e determinazione e nella quale lo Sdi si ritrova. Questo disegno politico si fonda innanzi tutto sul riconoscimento dei cittadini e degli eletti dell'Ulivo come soggetti fondamentali del processo unitario che si vuole sviluppare e sull'accettazione di regole che consentano l'assunzione di decisioni a maggioranza tra tutte coloro che ne fanno parte. Questa prospettiva può realmente cambiare la geografia politica del centrosinistra dando più forza politica, più credibilità e più vigore di governo all’alternativa alla destra. Lo Sdi, una volta superato lo schema di una volta, “la Quercia più i cespugli”, si è impegnato a fondo per portare avanti e rafforzare l’Ulivo.

Un programma per l’Italia
L’Italia vive in un clima di incertezza e di inquietudine che in molti settori sociali e, soprattutto, tra i giovani diventa vera e propria ansia per i futuro. Berlusconi ha deluso profondamente, appare ormai un uomo incerto e indeciso su ciò che deve fare, è preoccupato soprattutto della difesa dei suoi interessi: un giorno attacca l’euro e l’Europa; un giorno gioca la carte della difesa del vecchio sistema politico; un giorno invece punta sull’antipolitica attaccando tutti, dentro e fuori della sua maggioranza. Ormai, appare una sorta di “re travicello”.
Di fronte a questo stato di cose occorre una coalizione di centro sinistra che sappia trovare la strada dell’unità. Non è un impegno facile poiché è del tutto evidente che l’Ulivo, il centro sinistra e la sinistra sono un mondo dalle mille voci, dalle mille idee, dai mille campanili, dalle mille anime. Trovare un terreno comune, politico e programmatico è la sfida che ci attende. Per sfidare al meglio Berlusconi, dobbiamo innanzitutto sfidare noi stessi nella prova più difficile che abbiamo di fronte: essere uniti.
Sul progetto, sul programma, sulle cose da fare dobbiamo ritrovare una convergenza di fondo: evitare di esasperare i toni, di accentuare le divisioni, di approfondire i solchi. Di fronte alle differenze bisogna cercare le convergenze. Sui temi più specificatamente programmatici dobbiamo fare una scelta preliminare che è di principio e di metodo: le soluzioni che si offrono ai cittadini, quali che esse siano, per essere credibili e non assomigliare alle illusorie e irrealizzabili promesse elettorali fatte da Berlusconi a “Porta a porta”, come il drastico taglio delle tasse, devono essere sempre accompagnate dall’individuazione delle risorse che occorrono per realizzarle. Questo è il nucleo essenziale del riformismo: concretezza, gradualità e innovazione. Si tratta di conciliare principi che in sé sono validi: sicurezza ambientale, sicurezza sociale, sicurezza interna e internazionale con libertà, crescita e pace. Questo è il terreno sul quale dobbiamo ricercare una sintesi programmatica (Si vedano nel testo completo delle tesi congressuali gli approfondimenti sulle tematiche: DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA – SVILUPPO DELL’ECONOMIA E DELLA SICUREZZA SOCIALE – GIUSTIZIA GIUSTA – PACE NELLA SICUREZZA – PROMOZIONE DEI DIRITTI CIVILI).


Lo Sdi con il suo simbolo al voto amministrativo
Lo Sdi è impegnato con tutte le energie per l'affermazione della lista Prodi. Questo obiettivo corrisponde, come abbiamo detto e ripetiamo, ad una strategia nella quale ci identifichiamo. Non consideriamo lo Sdi come una formazione transitoria che ormai, di fronte alla formazione di una lista unitaria, prepara unicamente il suo autoscioglimento. Il processo, che parte dalla lista Prodi, non implica infatti lo scioglimento di un singolo partito, ma l’eventualità della creazione di un unico soggetto politico con la confluenza di tutti coloro che hanno aderito alla lista Prodi. Quindi, tutto il partito deve essere consapevole che lo Sdi, svolge oggi un ruolo insostituibile di innovazione, come si è visto pure nel processo che ha condotto alla realizzazione della lista Prodi. Lo Sdi va comunque rafforzato nelle proprie strutture organizzative, nella propria presenza politica nel territorio e nell'acquisizione di nuovi consensi elettorali. Non c'è nel panorama politico altra forza se non lo Sdi che, collocandosi a sinistra come è sempre avvenuto nella nostra storia,possa vantare di poter rappresentare con coerenza e continuità gli ideali di un grande movimento come stato e com’è quello socialista. Tante formazioni politiche sono scomparse travolte dalla storia ma non il socialismo europeo che è più che mai presente e influente.
Il nostro partito deve attrezzarsi ed essere pronto ad affrontare nuovi compiti e nuove iniziative. Allo stato delle cose tutti i partiti che hanno dato vita alla lista Prodi continueranno a presentarsi con le proprie insegne e i propri candidati, ad eccezione delle elezioni europee. Lo Sdi deve essere consapevole di questa situazione evitando una avventurosa deriva che ci conduca a indebolire il nostro ruolo politico ed elettorale, mentre gli altri partiti lavorano per il proprio rafforzamento. Alle elezioni amministrative, quindi, presenteremo la lista e il simbolo dello Sdi. Non consideriamo, comunque, l'adesione alla lista Prodi come una abdicazione dal nostro impegno di riaffermare i valori e principi del socialismo democratico. Riformismo e socialdemocrazia sono facce della stessa medaglia. Noi ci impegniamo per dare forza ai riformisti. Questo scopo, come diceva Pietro Nenni, si può ottenere risolvendo insieme la questione socialista, quella cattolica e quella comunista con una nuova unità di tutti i riformisti. La nostra aspirazione è per un centro sinistra che non sia più composto da ex e da post ma si ritrovi più forte in una nuova formazione politica, equivalente per aspirazione e per consistenza alle grandi socialdemocrazie europee.
Il congresso di Fiuggi non segnerà una svolta. Solitamente i partiti si apprestano alle svolte dopo aver constato il fallimento della linea decisa dal precedente congresso. Noi svolgeremo, invece, un congresso che si propone di continuare e sviluppare la linea di Genova, poiché la nostra iniziativa ha avuto successo. Tutti dovremmo impegnarci perché dal congresso di Fiuggi si dimostri ancora una volta che lo Sdi è una realtà viva e vitale del Paese, al servizio dei principi di libertà e giustizia sociale, di sicurezza e di pace, tutti i principi che hanno sempre portato avanti i socialisti italiani.


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