DALLA NOSTRA STORIA
Socialismo e autonomia in Cesare Battisti
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LA STORIA E L'AVVENIRE

  di Nicola Zoller


  La prima tessera socialista Lo storico Franco Venturi, avendo fatto degli studi sull’origine delle parole socialismo e socialista, giunse alla conclusione che fu probabilmente il monaco Facchinei nel 1765 a usare per la prima volta il termine socialista per descrivere (e vituperare)  le idee di uguaglianza sociale e utilitarismo che aveva scorto alla base delle teorie di Cesare Beccaria... . E’ dunque probabile che Beccaria sia stato il primo uomo ad essere accusato di socialismo (cfr. Marcello Maestro, “Cesare Beccaria e le origini della riforma penale”, Milano, Feltrinelli ed., 1977, p. 42). Il professore Giorgio Spini ha accertato poi che il termine socialista fu usato la prima volta nel suo senso attuale in Inghilterra nel 1827, dalla rivista dei seguaci di Robert Owen “The Cooperative Magazine”. In quello stesso periodo un giovane ufficiale di marina, Giuseppe Garibaldi, aderiva - fra i primi in Italia - al credo saint - simoniano, che più tardi l’avrebbe portato ad affermare: “Il socialismo è il sole dell’avvenire”. E’ certo inoltre che la prima volta in cui si ebbe una partecipazione socialista al governo di una nazione fu nella Seconda Repubblica Francese, dopo la rivoluzione di febbraio del 1848. Queste date - e qui si portano solo alcuni esempi - segnano non solo il punto di partenza della storia del socialismo moderno ma anche il punto di arrivo di un processo multisecolare. Quelle istanze di ristrutturazione della società e dell’economia in funzione dell’interesse collettivo dei molti, anziché dell’egoismo individuale dei pochi privilegiati, quelle aspirazioni a una sorte meno crudele e più umana per tutti, uomini e donne, o quella vigorosa affermazione delle masse lavoratrici, che si vogliono associare ai termini socialismo e socialisti, non avevano atteso davvero gli inizi del XIX secolo per fare la loro comparsa nella storia. Si può anzi datare, con fondate ragioni, l’inizio del cammino storico verso il socialismo dell’Ottocento e Novecento dalla comparsa nel dicembre 1516 dell'opera, intitolata “Utopia”, di un magistrato e cultore di studi umanistici inglese, Tommaso Moro. La “lunga marcia” verso il socialismo che si sviluppò da quella pubblicazione all’alba del 1500, porta alla nascita dei movimenti socialisti del 1800 e 1900 (in Italia il partito socialista venne fondato nel 1892 seguendo il messaggio di Filippo Turati e nel Trentino - con un percorso autonomo - negli anni 1893 - 94, vivificato dall’opera di Cesare Battisti), ovvero alla costruzione di quel tessuto complesso di spinte ideali, di relazioni culturali, di antagonismi politici e di lotte sociali, che hanno connotato la storia dell’Europa moderna e contemporanea (cfr. Giorgio Spini, “Le origini del socialismo”, Torino, Einaudi ed., 1992). Con queste premesse (per una descrizione appena più articolata si può vedere “Un futuro per il socialismo” qui di seguito), noi socialisti continuiamo a ritenere che il motto dei rivoluzionari francesi del 1789 - libertà, uguaglianza, fraternità - mantenga intatta la sua validità. Non è più utopico cercare di estendere i diritti umani, di accrescere la giustizia sociale e garantire l’uguaglianza di opportunità per tutti i cittadini. L’impegno dei socialisti su scala europea ha condotto a situazioni in cui la gran parte delle cittadine e dei cittadini vive in una società caratterizzata dalla libertà, con un buon livello di protezione sociale e una migliorata qualità della vita. Tuttavia circa il 15% della popolazione vive ancora in povertà: l’estensione della giustizia sociale e la lotta alle povertà, vecchie e nuove, sono minacciate dalle politiche conservatrici. Occorre dunque che i socialisti continuino a sostenere una politica sociale ed economica che assicuri ad ogni cittadina e cittadino, facente parte della popolazione attiva o pensionata o inabile, il beneficio di una copertura sociale, di un posto di lavoro e di condizioni di vita accettabili. La creazione di occupazione continua ad essere la nostra più grande priorità. Secondo noi socialisti è necessario perseguire una politica attiva orientata verso la creazione di posti di lavoro,  garantendo anche ai disoccupati il loro diritto al lavoro, riconoscendo alle donne l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità, dando ai giovani la possibilità di costruire il proprio futuro. In genere il livello di istruzione e addestramento professionale è ancora insufficiente. L’importanza della qualità dell’istruzione generale giustifica gli sforzi per portarla ad un alto livello sia per il pieno sviluppo della personalità che per la qualità delle relazioni produttive nel futuro. Una ridistribuzione del lavoro potrà essere un mezzo efficace nella lotta contro la disoccupazione. Forme di riduzione del lavoro - nel quadro della settimana lavorativa di 35 ore - e la flessibilità degli orari di lavoro dovranno continuare ad essere oggetto di negoziazioni.  E’ necessario che i lavoratori e le lavoratrici delle aziende produttive, commerciali e dei servizi siano associati alle decisioni di sviluppo dell’impresa, con garanzie di informazione e di partecipazione. Come socialisti - in modo particolare in realtà come quelle del Trentino - riteniamo che le imprese di piccola e media grandezza e il settore cooperativo,  possano giocare un ruolo fondamentale per promuovere il lavoro e per una gestione più umana e partecipata dell’attività produttiva. I socialisti vogliono rendere compatibile lo sviluppo economico con la protezione dell’ambiente. Ciò è condizione per una crescita equilibrata della nostra società, che può puntare sempre più sulla ricerca di tecnologie pulite di lotta contro l’inquinamento. La tutela delle risorse naturali non rinnovabili,  la salvaguardia del nostro “sistema alpino” e la promozione turistico - ambientale,  possono condurre alla creazione di nuovi posti di lavoro, mentre tutto ciò converge nel migliorare la qualità della vita. I socialisti credono in una seria politica di risparmio energetico, con un appoggio deciso alle fonti di energia che non provocano danni ecologici. I socialisti sono sempre impegnati per la pace, da garantire attraverso l’affermazione della democrazia. Non c’è vera pace senza libertà e senza pieno riconoscimento dei diritti umani. Occorre appoggiare la linea del progressivo disarmo globale e di forte riduzione delle spese militari,   tenendo conto che all’esigenza di sicurezza non si possono dare solo risposte militari.I socialisti ritengono che i Paesi del nord del mondo - e quindi l’Italia ed anche il nostro Trentino - debbano intensificare la cooperazione e la solidarietà con i Paesi del Terzo Mondo per motivi di giustizia e di sviluppo. Non è possibile accettare il persistere della situazione di sfruttamento economico, sociale e culturale di questi Paesi, situazione intollerabile sul piano umano ed economicamente nefasta per tutti. Sosteniamo il metodo di cooperazione che cerchi di rendere autosufficienti le economie dei Paesi sottosviluppati nei settori essenziali della alimentazione e dell’energia.

 
 

 
UN FUTURO PER IL SOCIALISMO
 


"Pensieri del Novecento, da rileggere e praticare nel Nuovo secolo"

 - tratto da: Nicola Zoller, "C'è un futuro per il socialismo", in MONDOPERAIO - rivista socialista fondata da Pietro Nenni - n. 2 marzo/aprile 2001, p. 128 s. -


 

  1. La vittoria del riformismo.
    Alla luce delle ricerche teoriche e della prassi politica, si può ben dire che le idee collegate al movimento socialista democratico hanno vinto il confronto nel "duello a sinistra" protrattosi per tutto il XX secolo. La profezia del leader del socialismo italiano, Filippo Turati, pronunciata al congresso di Livorno nel 1921 e rivolta alla fazione comunista, si è avverata in tutta Europa e la sinistra politica moderna degna di questo nome abbraccia le tesi gradualiste e riformiste, considerando illusoria, demagogica, pauperistica e sanguinaria la prassi del comunismo rivoluzionario. Proprio nel filone "anti - totalitario" di ogni biblioteca socialista non può che venire segnalata la lunga contesa del socialismo democratico europeo ed internazionale contro il "socialismo reale" di marca comunista - sovietica. Gli autori sono notevoli, dai nostri Merlino, Silone, Rizzi, Settembrini a Martov, Medvedev, Orwell, Koestler, Castoriadis, Goldstücker, Gilas, Camus, Kolakowski, Hannaendt, Popper, W. Reich, Ghosh. Queste testimonianze dovrebbero far arrossiretessera del 1913 coloro che hanno ancora la sfrontatezza di affermare che con la caduta del socialismo totalitario sovietico sarebbe caduto anche il socialismo democratico: la fine del comunismo è una vittoria ideale del socialismo europeo e di tutti quei leaders e pensatori che per settant'anni lo hanno contestato e combattuto ideologicamente. A suggellare questa conquista democratica, sovvengono le penetranti parole - anch'esse profetiche - di Simone Weil (1909~1943) che nel suo saggio "Pensieri sulla violenza" sostiene: "... l'illusione della Rivoluzione consiste nel credere che essendo le vittime della forza innocenti riguardo alle violenze che si verificano, se si mette la forza nelle loro mani, esse ne faranno un uso giusto". Non sempre la vittoria delle idee comporta una vittoria politica degli uomini e delle organizzazioni che per esse si impegnarono. Ma questo è un discorso che attiene alla tattica o alla contingenza politica, piuttosto che ad un discorso dì spessore teorico e di prospettiva ideale. Ebbene, se nel caso specifico italiano l'organizzazione socialista è stata vulnerata nel corso degli anni '90, la idee coltivate dal movimento socialista avranno ancora vita lunga e potranno essere ancora utili ai cittadini e alla società. Si tratta infatti di un complesso di idee prodotte - come ricorda Giorgio Spini - da "una galassia multicolore", accomunata da una fervente adesione ai valori democratici e libertari, che via via ha proposto, rielaborato, affinato, implementato progetti ideali rivolti in varie direzioni, come ha provato a dimostrare anche la mia ricerca "Letture di fine secolo" (Stampe della "Rosa Europea", Rovereto, 1997), la quale ha individuato diversi filoni del pensiero socialista, da quello "illuminista - risorgimentale" a quelli "riformista" e "liberal", dal filone "federalista" a quelli "anti-totalitario" ed "ecologico"... . Proprio lo spirito libero che soffia nelle opere degli intellettuali socialisti - lontani da rigidi schemi burocratici e dottrinari - ha salvato e salva per il futuro il complesso delle idee socialiste, le quali si sono segnalate nei vari filoni di cui si sono occupate per originalità o innovativi apporti. E se c'è o ci sarà una sfida politica, essa trova e troverà quasi sempre alimento teorico nelle elaborazioni del movimento socialista.

     
  2. Il federalismo socialista.
    Con riferimento a quanto appena menzionato cito un esempio eclatante. Pare che negli armi '90 si sia scoperto il tema federalista. E invece esiste una notevole opera socialista sull'argomento, che affonda le radici nelle proposte del francese Proudhon o nel programma federalista di Brünn della socialdemocrazia austriaca, per emergere poi con i nostri Carlo Rosselli, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni (mi permetto di segnalare una mia memoria su questo "federalista dimenticato" ospitata su "Questotrentino" del 13 gennaio 1995), Silvio Trentin, Piero Calamandrei, Ignazio Silone. Gli studi di Aldo Garosci e di Norberto Bobbio sono testimonianze della vitalità di questo filone del pensiero socialista mentre nell'opera di Corrado Malandrino, "Socialismo e libertà: autonomie, federalismo, Europa da Rosselli a Silone", viene efficacemente riassunto il valore del nesso socialismo -federalismo: "Quale socialismo? Quello che garantisce agli individui, ai gruppi e alle classi anche le condizioni di maggiore libertà nella società, nelle istituzioni statali e sovranazionali. Quale federalismo? Quello che assicura la pace tra le nazioni, la realizzazione degli obiettivi di unità politica del continente europeo non disgiunti dalla salvaguardia delle autonomie nazionali e locali, ma che è altresì un federalismo aperto alle esigenze di giustizia sociale. Questi temi sono ben presenti nella storia italiana di questo secolo, tra i socialisti e nell'intellettualità progressista con l'obiettivo di unire finalità socialiste e federaliste per costruire un sistema sociale e costituzionale di nuova democrazia, più libero e più giusto".

     
  3. Eduard Bernstein.
    Quanto appena descritto per il filone "federalista" vale quasi paradigmaticamente per gli altri filoni. E' però segnatamente il filone "liberal - socialista" a permeare di vitale prospettiva anche gli apporti teorici dei pensatori collocati dalle mie "Letture di fine secolo" in altri filoni ma inevitabilmente portatori di tematiche liberal socialiste. Vorrei qui aggiungere un richiamo particolare al saggio di U. Ranieri e U. Minopoli "Il movimento è tutto, rileggendo Eduard Bernstein" (Sugarco ed.) posto ad introdurre il filone "riformista", con il quale questi due dirigenti democratici di sinistra raccontano la loro battaglia interna per smontare il "pregiudizio antiriformista" presente nel loro partito. E si rifanno alle idee del socialista berlinese per dichiarare ancora che "non esiste idea liberale che non appartenga anche al contenuto ideale del socialismo", ribadendo che l'ordinamento liberal - democratico non è l'inerte involucro del potere capitalista, ma ha una potenzialità universale in cui tutti possono muoversi per far valere le proprie ragioni, per progredire, per riequilibrare il potere degli altri. Le "eresie" del socialdemocratico Bernstein (l850-l932) - che da tempo sono diventate patrimonio del socialismo occidentale - bussano e ribussano dunque alla porta di tutti i partiti e i movimenti della sinistra vecchia o nuova, di questo o di altri continenti che vogliano proporre o produrre qualcosa di buono per l'umanità.

     
  4. Karl Popper.
    Una personalità autorevole della tradizione liberale del XX secolo che da tempo è stata studiata, compresa e assimilata dall'attività teorica e pratica del movimento socialista italiano ed europeo è quella di Karl Popper. Nella mia ricerca questo autore è collocato nel filone anti - autoritario con la classica opera "La società aperta e i suoi nemici - Hegel e Marx falsi profeti". Si può ben immaginare come essa, nei decenni trascorsi, possa essere stata accolta dai circoli della sinistra comunista in Italia. "Marx...- afferma Popper - fu un profeta della storia e le sue profezie non sono risultate vere; ma questa non è la mia accusa maggiore. E' molto più importante il fatto che egli sviò un gran numero di persone intelligenti portandole a credere che la profezia storica sia il modo scientifico di approccio ai problemi sociali. Marx è responsabile della rovinosa influenza del metodo di pensiero storicista nelle file di coloro che vogliono far avanzare la causa della società aperta... . L'approccio fallibilista - secondo cui noi impariamo dai nostri errori piuttosto che dall'accumulazione di dati - ... può mostrare che il ruolo del pensiero è quello di realizzare delle rivoluzioni per mezzo di dibattiti critici, piuttosto che per mezzo della violenza e della guerra; che fa parte della grande tradizione del razionalismo occidentale combattere le nostre battaglie con le parole invece che con le spade. E' questa la ragione per cui la nostra civiltà occidentale è una civiltà essenzialmente pluralista, mentre fini sociali monolitici significherebbero la morte della libertà: della libertà di pensiero, della libera ricerca della verità e con essa, della razionalità e della dignità dell'uomo". Popper sta diventando oggi un punto di riferimento obbligato anche per molti "converted marxist" italiani. E anche questo avviene sulla strada già percorsa dal movimento socialista: il carattere socialdemocratico della visione politica di Popper è stato infatti presentato fin dagli anni '70 dalla Fondazione Friedrich Ebert, che ha dedicato a Popper il volume "Razionalismo critico e socialdemocrazia", con la prefazione di Helmut Schmidt.

     
  5. John E. Roemer o del socialismo liberale.
    Ho proposto il titolo di questa nota in cinque punti, traendolo dall'opera di John E. Roemer, "Un futuro per il socialismo" (Feltrinelli ed., 1996), pubblicata in originale da Harvard University Press, Cambridge (Mass). Debbo dunque presentare una conclusiva riflessione sul lavoro di questo autore definito coraggioso e lungimirante anche da osservatori di diversa scuola. E cito al proposito Pier Luigi Sacco e Armando Massarenti che su "Il Sole 24 Ore" hanno trattato con rigoroso rispetto la fatica del professore americano (cfr. Pier Luigi Sacco, "Eppure il socialismotessera del 1916può avere un futuro", il Sole 24 Ore, 8 settembre 1996, p.26; Armando Massarenti, "Per un welfare più giusto", Il Sole 24 Ore, 25 settembre l996, p.6). Innanzitutto si chiarisce subito di quale socialismo si stia parlando: si tratta di "socialismo orwelliano", in nome di chi, sostenendo un ideale dì socialismo anti - totalitario (George Orwell, "La fattoria degli animali" e "1984") di quello totalitario ha saputo denunciare tutti i pericoli. Insomma, spiega A. Massarenti, "un socialismo dal forte sapore liberale, basato su una riflessione attenta sulle ragioni del fallimento delle economie dell'est europeo". Queste, spiega Roemer, è bene che siano collassate, perché con esse sono falliti dei regimi tirannici. Tali esperienze tragiche riconfermano la bontà dell'idea di "socialismo di mercato", che possiamo cosi sommariamente descrivere:
    A) E' un socialismo che pone attenzione alla uguaglianza delle opportunità e delle basi di partenza e quindi alla necessità di "creazione di un sistema educativo in grado di offrire ai segmenti sociali più svantaggiati reali opportunità di accesso ad una formazione pienamente spendibile sui mercati del lavoro, compresi quelli più sofisticati e competitivi".
    B) E' un socialismo che fa in modo che la proprietà azionaria, e quindi la fruizione dei profitti dell'attività produttiva, sia distribuita molto diffusamente. Tale proprietà diffusa fa sì che i "mali pubblici" determinati dall'andamento dell'attività economica siano possibilmente più limitati. Citiamo fra i "mali pubblici" la disoccupazione. Potrebbe essere interesse di ciascun singolo capitalista licenziare lavoratori: ebbene, quando i lavoratori concorrono a controllare il capitale, si terrà conto dell'interesse più generale e si freneranno i comportamenti più irresponsabili del lasseiz faire. Ma citiamo anche l'esempio dell'inquinamento. L'azionariato diffuso (non la proprietà statalizzata, che ha tollerato livelli di inquinamento orripilanti nei paesi dell'orbita sovietica) può frenare efficacemente questo male che si riverbera sulla generalità degli azionisti (si confronti al proposito anche il saggio di Giorgio Ruffolo, "Lo sviluppo dei limiti": "...la biforcazione di fronte alla quale ci troviamo ci pone non il dilemma tra crescere e non crescere, ma quello tra due tipi di 'sviluppo'. Lo sviluppo della potenza e lo sviluppo della coscienza"). Inevitabilmente ogni sistema dovrà accettare un certo livello di "mali pubblici" creati dall'economia: ma col "socialismo di mercato", cioè con la proprietà azionaria diffusa, ci potranno essere contemporaneamente effetti benefici sull'efficienza dell'economia, sulla distribuzione più egualitaria della ricchezza e sulla riduzione dei citati "mali pubblici". (Si rimanda, per un'utilissima comparazione tematica, anche al dibattito aperto negli anni '70 da "Mondoperaio", rivista teorica del Psi, raccolto poi in AA.VV., "Democrazia industriale e sindacato in Italia", ed. Avanti,1977. La tematica della partecipazione dei lavoratori alla gestione del mercato viene in evidenza; scrive Gino Giugni nell'opera citata: "Mentre non esiste nell'ambito della letteratura marxista, un progetto di democrazia economica,... sono sempre abbondanti, invece, i progetti nell'ambito dei socialismi pre o amarxisti. Infatti l'idea della partecipazione e della gestione democratica dell'economia e antica quanto è antico il socialismo"). C'è dunque un futuro per il socialismo. Ed è un futuro auspicabile non solo per i socialisti ma complessivamente per le nostre società. Un futuro che è stato coltivato da una schiera di pensatori, che generalmente - per dirla con gli autori della rivista italiana "Liberalsocialismo" - si ostinano a non ritenere "disparati e inconciliabili l'ideale della libertà politica e quello della giustizia sociale", ad affermare - con Leo Valiani sulle tracce di John Dewey - che "la libertà non vive nel mondo contemporaneo, senza giustizia sociale", ed infine ad implorare con Bertrand Russel: "Se le vostre speranze e i vostri desideri sono limitati a voi stessi o alla vostra famiglia, o alla vostra nazione, o alla vostra classe, o agli aderenti alla vostra credenza religiosa troverete che tutti i vostri sentimenti generosi sono accompagnati in modo parallelo da antipatie e da sentimenti ostili. Da una simile dualità di sentimenti si originano quasi tutti i mali peggiori della vita umana, le crudeltà, le oppressioni, le persecuzioni, le guerre. Se il nostro mondo vuole sfuggire ai disastri che lo minacciano gli uomini devono imparare a essere meno circoscritti nei loro sentimenti di solidarietà".

    (n. z.)